Voci da mondi diversi. Corea
guerra
premio Nobel 2024
Han Kang, “Atti umani”
Ed.
Adelphi, trad. Milena Zemira Ciccimarra, pagg. 205, Euro 11,40
Era il 18 maggio 1980. “5/18”- è con
questa numero che si ricorda la data del massacro di Gwangju, nella Corea del
Sud. Un bagno di sangue. Da 1000 a 2000 le vittime, forse di più. Come sempre,
in questi casi, è impossibile sapere il numero esatto. Nell’ottobre del 1979 c’era
stato un primo colpo di stato con l’assassinio del presidente Park Chung-hee,
seguito da un secondo colpo di stato a due mesi di distanza: Chun Doon-hwan
aveva instaurato un regime dittatoriale che aveva suscitato proteste e
manifestazioni da parte di professori e studenti a partire dal marzo 1980. Si chiedevano
riforme democratiche e l’abolizione della legge marziale. Seguì una violenta
repressione in seguito alla quale aumentarono le proteste fino a culminare nei
fatti di sangue del 18 maggio a Gwangju. L’esercito soffocò la rivolta con atti
di tremenda crudeltà e il 27 maggio i carri armati entravano in città. Era stata
una ‘piccola Tienanmen coreana’.Chun Doon-hwan
La Storia di quei giorni (poco conosciuta
in Occidente) è lo sfondo del romanzo “Atti umani” della scrittrice Han Kang,
vincitrice del premio Nobel 2024. È un libro grondante sangue e dolore, un
racconto a più voci e in tempi diversi, perché un episodio così drammatico non
si esaurisce nei giorni in cui accaddero i fatti ma lascia una ferita aperta,
una memoria mai sopita delle violenze subite, della perdita di chi ci era caro,
un susseguirsi di domande senza risposta su che cosa si sarebbe potuto fare per
cambiare il corso del destino.
Il libro è composto da sette ‘quadri’ con sette personaggi ed inizia con un ragazzino di quindici anni, Dong-ho (il suo nome riapparirà spesso in queste pagine, diventa il simbolo della rivolta e della spietatezza dei militari che non esitano a infierire su donne e bambini) che cerca il suo amico. Sua madre, che comparirà in quadro più avanti, aveva cercato di farlo tornare a casa prima che l’esercito entrasse in città. Non ci era riuscita e passerà il resto della sua vita a piangere il figlio e a sentirsi in colpa. Con Don-Ho entriamo nella palestra dove vengono portati i corpi di quelli che sono stati uccisi, solleviamo il lenzuolo che ricopre i cadaveri, restiamo inorriditi dalle ferite.
Una ragazza si prende cura dei morti, li ripulisce, accompagna i familiari per il riconoscimento, accende candele per smorzare il puzzo. La rivediamo cinque anni dopo, lavora come redattrice e si incarica di sottoporre i testi all’ufficio della censura- verrà portata nell’ufficio della polizia e schiaffeggiata perché denunci il nome del traduttore dell’ultima opera teatrale che ha consegnato e di cui non è rimasto quasi nulla dopo le cancellature della censura. Leggiamo di un’operaia e di un prigioniero- quello che tutte queste persone, vive o morte, hanno in comune è l’impossibilità di dimenticare. Anche i sopravvissuti sono morti, sono morti dentro. Hanno subito torture atroci, rivivono le sevizie negli incubi, cercano di annegare i ricordi nell’alcol, alcuni finiscono per suicidarsi.
Han Kang aveva nove anni all’epoca della
rivolta. Da adulta sente che è suo dovere indagare, consultare la
documentazione che riesce a trovare (il viso del ragazzino Hong-do la
perseguita, riesce a parlare con suo fratello), mettere per iscritto la storia
di quei giorni, preservare la memoria delle persone e dei fatti, rompere la
barriera del silenzio. Lo fa con uno stile asciutto che non si concede
sentimentalismi- in quale altro modo si può parlare di sevizie, torture,
atrocità e morte violenta? In quale altro modo si può parlare di una società in
cui la pietà è morta? E l’alternarsi di voci diverse, di vivi e di morti, il
passaggio da un ‘io narrante’ in prima persona ad una seconda o terza persona, lo
spostarsi del tempo, dall’epoca dei fatti agli anni seguenti, fino a quelli più
vicini a noi, ci dà l’idea di eternità- delle persone, ma non solo. Del dolore
e dell’ingiustizia e del diritto alla libertà.
Un
libro per chi vuol sapere, per chi non ha paura di confrontarsi con la
malvagità umana. Da leggere.
Un film del 2017, “A taxi driver”, diretto
da Jang Hoon, si ispira alle vicende del 18 maggio 1980.
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