vento del Nord
premio Nobel
Selma Lagerlöf, “Bandito”
Ed.
Iperborea, trad.Luca Tapparo, pagg.314, Euro 19,00
Isola di Grimo, arcipelago occidentale
della Svezia. Una coppia non più giovane. I figli non vivono più con loro, sono
soli. Un pensiero costante, un ricordo, forse un senso di colpa: quando il
figlio minore, Sven, era bambino, lo avevano ‘ceduto’ ad una coppia inglese senza
figli che gli avrebbe dato un futuro migliore di quello che loro potevano
offrirgli. Non ne avevano saputo più nulla. Finché un giorno il padre aveva
letto una notizia sul giornale e poco dopo il figlio, Sven Elversson, era
ritornato a vivere sull’isola. Aveva preso parte ad una sfortunata spedizione
inglese al polo Nord i cui partecipanti avevano dovuto svernare tra i ghiacci.
E là, dopo aver finito le riserve, quasi impazziti per la fame, si erano
macchiati di una colpa indicibile. I genitori adottivi di Sven lo avevano
bandito dalla loro casa.
“Bandito”, un titolo lapidario per un uomo
che è stato bandito una prima volta quando era bambino- anche se nella
prospettiva di un maggiore benessere-, una seconda volta adesso, da tutta la
comunità e pubblicamente, quando il pastore, che dovrebbe accogliere tutti i
fedeli, rivela dal pulpito il suo peccato, facendone oggetto di disprezzo e di
disgusto.
Eppure Sven Elversson è un brav’uomo. Di più. É generoso, pronto ad aiutare gli altri, a fare opere di bene, oltre ad essere istruito. Si presenta però con un atteggiamento umile, è come se avesse la sua colpa scritta in faccia, come se lui stesso non riuscisse a perdonarsi e non si aspettasse il perdono degli altri.
Sven Elversson è il personaggio chiave del
bel romanzo del premio Nobel Selma Lagerlöf, quello intorno a cui ruota tutta
la trama e a cui si contrappongono gli altri personaggi. Perché questa è una
storia che coinvolge un terzetto- due uomini rivali loro malgrado, Sven e il
pastore Rhänge, e la donna che entrambi amano, la bella Sigrun, moglie del
reverendo. E se Sven e la sua colpa sono un continuo elemento di confronto, è
lei, Sigrun, la protagonista e la storia che la vede coinvolta è di una
straordinaria attualità.
Sigrun è innamorata del pastore, è lei
stessa figlia di un uomo di chiesa e sa quale vita la aspetta. Non si aspetta
però l’aspro paesaggio che circonda la
canonica in cui si trasferisce, soprattutto non si aspetta la gelosia ossessiva
del marito e neppure la sua presenza incombente, i continui tentativi di
soffocare la sua personalità che spengono la sua gioia di vivere. É come se
proprio quegli aspetti di lei che lo avevano conquistato ora gli facessero
paura perché potrebbero attirare altre
persone.
I destini di questi tre personaggi si incrociano, ognuno di loro ha un percorso di crescita e di conoscenza di sé e il romanzo di Selma Lagerlöf diventa un triplice romanzo di formazione in cui, però, sono soprattutto le scelte di vita del personaggio femminile a destare la nostra ammirazione, ricordandoci un poco quelle della Nora di Ibsen, altro grande scrittore nordico.
E poi c’è una riflessione di fondo che
percorre tutto il libro, quella della sacralità della vita e della morte. Se il
romanzo inizia ombreggiando un doloroso episodio di morte per dare vita,
termina con la buia realtà della prima guerra mondiale, con il mare che diventa
una tomba a cielo aperto, disseminata dei cadaveri dei marinai delle navi
affondate durante la battaglia dello Jutland e il quesito- chi o che cosa
autorizza a dare la morte, a uccidere un altro uomo? Non è forse questa una
colpa ben più grave di quella di cui è stato accusato Sven Elversson?
Ammiriamo tutto del romanzo di Selma
Lagerlof- lo stile narrativo, l’equilibrio della costruzione, la profondità e
la leggerezza con cui tratteggia i personaggi, l’eticità dei temi trattati- e
constatiamo quanto siano senza tempo gli argomenti e le problematiche che ci
propone.
L’eternità
della guerra e il perdurare della soggezione femminile (a distanza di più di un
secolo) sono sconfortanti.
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