Voci da mondi diversi. Iran
romanzo di formazione
Belgheis Soleymani, “L’ultimo gioco di Banu”
Ed.
Brioschi, trad. Faezeh Mardani, pagg. 248, Euro 18,00
Nel
gennaio del 1979 l’ayatollah Khomeini rientrava in Iran, dopo che lo scià Reza
Pahlavi era stato costretto all’esilio. Nasceva così la Repubblica islamica:
bandite bevande alcoliche, gioco d’azzardo e prostituzione, perseguitati gli
omosessuali, pena di morte per stupro e adulterio e per chiunque tenesse un
comportamento contrario alla sharia,
obbligatorio per le donne coprire le braccia e le gambe, nonché nascondere i
capelli sotto un velo. È in questa atmosfera repressiva che si svolge il
romanzo di Belgheis Soleymani, una delle più acclamate scrittrici iraniane.
Il romanzo si apre con il funerale di due giovani controrivoluzionari. Erano amici di Gol-Banu, la ragazza protagonista, figlia di una povera donna che, tra i lavori che svolge, c’è anche quello di lavare i cadaveri prima della sepoltura. La vita di Gol-Banu sembra essere già segnata- secondo la tradizione è destinata a sposare un cugino anche se lei non vuole perché ha altre ambizioni. Banu ama leggere, vorrebbe studiare, e poi si innamora dell’insegnante venuto da Teheran e che però non la sposerà per l’opposizione della sua famiglia. Banu sposerà invece un uomo molto più anziano al servizio del regime islamico, ne avrà un figlio che però le verrà portato via e lei tornerà a studiare laureandosi in filosofia all’università.
Se questa è in breve la storia di Banu, quella che noi leggiamo non è una vicenda lineare e- questo è il dettaglio narrativo in cui risiede il fascino del romanzo- non è neppure raccontata da un solo narratore con un unico punto di vista. Gol Banu, l’insegnante di cui lei si innamora, il marito che suscita in lei odio e amore, il nipote del marito, cugino del figlio che Gol Banu non ha più visto da quando era piccolo, e poi ancora Gol Banu che ormai è la professoressa Mohammadjani- sono tutti loro a prendere la parola. C’è lo scarto temporale di una vita intera tra l’inizio e la fine del romanzo che è un insolito romanzo di formazione al femminile in un paese in cui la libertà delle donne è molto limitata, sia nelle scelte personali più importanti sia in quelle della loro esteriorità. E i diversi punti di vista arricchiscono la narrazione- a volte rileggiamo qualcosa di cui abbiamo già letto ma con qualche differenza, in genere leggiamo proprio un’altra interpretazione di quanto è successo e sta a noi lettori interpretare e valutare e dare un significato. La figura di Banu ne esce vittoriosa.
In qualunque paese, che una ragazza, figlia
di una domestica, cresciuta in un ambiente privo di istruzione e senza stimoli
culturali, riesca a laurearsi- e in filosofia- sarebbe considerato un successo
personale. Motivo di più perché lo sia nell’Iran di Khomeini dove le donne sono
continuamente mortificate e assoggettate alla volontà maschile. Nella
professoressa Mohammadjani non c’è più nulla della ragazza che all’inizio non
sa come fare per sottrarsi ad un matrimonio non voluto e da cui la libera
provvidenzialmente la guerra quando il cugino viene fatto prigioniero. Banu ha
sofferto, Banu ha vissuto l’esperienza della maternità e quella del carcere. La
ragazza Banu muore in quel carcere dove si ammala con il seno ingorgato del
latte che non può dare al suo bambino e rinasce diversa, le hanno strappato il
cuore, le rimane il cervello. Lei non sa che cosa sia successo né il perché, lo
sappiamo noi attraverso una voce narrativa diversa, quella del marito.
Il contesto in cui si svolge la storia di
Banu ci fa conoscere l’Iran del tempo dopo lo Scià, un paese in cui le luci si
sono spente, un paese che ha perso la spontaneità e la gioia di vivere perché
ogni comportamento può essere sospetto di immoralità, un sorriso e lo sfiorarsi
delle mani possono essere considerati peccaminosi, possedere libri è
pericoloso, le madri piangono i figli che muoiono in guerra e diventano
martiri.
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Leggerò all'hotel spa montegrotto https://www.termepreistoriche.it/
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