domenica 7 agosto 2022

Belgheis Soleymani, “L’ultimo gioco di Banu” ed. 2022

                                                                     Voci da mondi diversi. Iran

     romanzo di formazione

Belgheis Soleymani, “L’ultimo gioco di Banu”

Ed. Brioschi, trad. Faezeh Mardani, pagg. 248, Euro 18,00

     Nel gennaio del 1979 l’ayatollah Khomeini rientrava in Iran, dopo che lo scià Reza Pahlavi era stato costretto all’esilio. Nasceva così la Repubblica islamica: bandite bevande alcoliche, gioco d’azzardo e prostituzione, perseguitati gli omosessuali, pena di morte per stupro e adulterio e per chiunque tenesse un comportamento contrario alla sharia, obbligatorio per le donne coprire le braccia e le gambe, nonché nascondere i capelli sotto un velo. È in questa atmosfera repressiva che si svolge il romanzo di Belgheis Soleymani, una delle più acclamate scrittrici iraniane.

     Il romanzo si apre con il funerale di due giovani controrivoluzionari. Erano amici di Gol-Banu, la ragazza protagonista, figlia di una povera donna che, tra i lavori che svolge, c’è anche quello di lavare i cadaveri prima della sepoltura. La vita di Gol-Banu sembra essere già segnata- secondo la tradizione è destinata a sposare un cugino anche se lei non vuole perché ha altre ambizioni. Banu ama leggere, vorrebbe studiare, e poi si innamora dell’insegnante venuto da Teheran e che però non la sposerà per l’opposizione della sua famiglia. Banu sposerà invece un uomo molto più anziano al servizio del regime islamico, ne avrà un figlio che però le verrà portato via e lei tornerà a studiare laureandosi in filosofia all’università.


     Se questa è in breve la storia di Banu, quella che noi leggiamo non è una vicenda lineare e- questo è il dettaglio narrativo in cui risiede il fascino del romanzo- non è neppure raccontata da un solo narratore con un unico punto di vista. Gol Banu, l’insegnante di cui lei si innamora, il marito che suscita in lei odio e amore, il nipote del marito, cugino del figlio che Gol Banu non ha più visto da quando era piccolo, e poi ancora Gol Banu che ormai è la professoressa Mohammadjani- sono tutti loro a prendere la parola. C’è lo scarto temporale di una vita intera tra l’inizio e la fine del romanzo che è un insolito romanzo di formazione al femminile in un paese in cui la libertà delle donne è molto limitata, sia nelle scelte personali più importanti sia in quelle della loro esteriorità. E i diversi punti di vista arricchiscono la narrazione- a volte rileggiamo qualcosa di cui abbiamo già letto ma con qualche differenza, in genere leggiamo proprio un’altra interpretazione di quanto è successo e sta a noi lettori interpretare e valutare e dare un significato. La figura di Banu ne esce vittoriosa.


    In qualunque paese, che una ragazza, figlia di una domestica, cresciuta in un ambiente privo di istruzione e senza stimoli culturali, riesca a laurearsi- e in filosofia- sarebbe considerato un successo personale. Motivo di più perché lo sia nell’Iran di Khomeini dove le donne sono continuamente mortificate e assoggettate alla volontà maschile. Nella professoressa Mohammadjani non c’è più nulla della ragazza che all’inizio non sa come fare per sottrarsi ad un matrimonio non voluto e da cui la libera provvidenzialmente la guerra quando il cugino viene fatto prigioniero. Banu ha sofferto, Banu ha vissuto l’esperienza della maternità e quella del carcere. La ragazza Banu muore in quel carcere dove si ammala con il seno ingorgato del latte che non può dare al suo bambino e rinasce diversa, le hanno strappato il cuore, le rimane il cervello. Lei non sa che cosa sia successo né il perché, lo sappiamo noi attraverso una voce narrativa diversa, quella del marito.

    Il contesto in cui si svolge la storia di Banu ci fa conoscere l’Iran del tempo dopo lo Scià, un paese in cui le luci si sono spente, un paese che ha perso la spontaneità e la gioia di vivere perché ogni comportamento può essere sospetto di immoralità, un sorriso e lo sfiorarsi delle mani possono essere considerati peccaminosi, possedere libri è pericoloso, le madri piangono i figli che muoiono in guerra e diventano martiri.

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