Voci da mondi diversi. India
Ed. Nord, trad. F. Martucci, pagg. 384, Euro 19,00
Un titolo singolare per questo romanzo
della scrittrice Avni Doshi, nata nel New Jersey da famiglia indiana ed ora
residente a Dubai. Un titolo da cui traspare un doppio significato, negativo in
entrambi i casi nonostante la dolcezza dello zucchero. Delle ricerche provano
la correlazione fra abuso di zucchero e l’Alzheimer e l’odore dello zucchero
bruciato è tutt’altro che gradevole.
Mostra i primi segni di Alzheimer, la madre
dell’io narrante, anche se è solo sulla sessantina. Dimentica le cose, telefona
ad amiche che sono morte, arriverà a provocare un incendio in casa della
figlia. Tara, il nome della madre, Antara quello della figlia, e Antara va
inteso come Un-Tara, una negazione della madre- e già dice tanto su come sia
stata vissuta la maternità da Tara.
Tara si era sposata per convenienza, era scappata di casa insieme alla bambina, aveva fatto anche la mendicante e aveva trovato rifugio in un ashram dove era diventata l’amante del guru. Era stata un’esperienza terribile per la bambina Antara e i ricordi del passato affiorano in capitoli che si alternano con quelli degli avvenimenti nel presente.
Mentirei
se dicessi di non aver mai gioito dell’infelicità di mia madre. Da bambina ho
sofferto per colpa sua e qualunque pena lei abbia sopportato in seguito mi è
parsa una sorta di redenzione: un ribilanciamento dell’universo…
Sono
le parole che iniziano questa storia di due donne che si amano e si odiano, che
diventano rivali in amore, di una madre incapace di assumere il ruolo di madre
e di una figlia che ha cercato una madre sostitutiva, che è tuttora
ossessionata dall’uomo che ha rubato alla madre, che continua a disegnare nello
stesso disegno. Perché Antara è un’artista di tipo particolare- parte dal
disegno di un volto e lo fa di nuovo ogni giorno con un leggero cambiamento
finché il cerchio si chiude: che cosa è rimasto del volto originale? E, dopo
tutto, non è quello che succede ad ognuno di noi nella vita? Cambiare un poco
giorno dopo giorno?
Adesso Antara è sposata, il marito è cresciuto in America, non ha niente in comune con l’uomo del suo passato, lei dovrebbe essere capace di girare pagina. E intanto Tara sprofonda ogni giorno di più nell’oblio dell’Alzheimer e la figlia cerca di tenerla agganciata alla realtà, di sollecitare la sua memoria.
“Zucchero bruciato” è, in definitiva, un
romanzo sulla memoria, su come i ricordi siano soggettivi, su come possano
essere manipolati e costruiti e imposti ad altri. Perché sono diversi i ricordi
di madre e figlia? A quale delle due dobbiamo credere? Antara è la protagonista
e la voce parlante: è una voce affidabile?
È
anche un romanzo sull’essere madre. La figura materna è per lo più idealizzata
nei romanzi. Non in questo. Tara non è una buona madre, lo sarà Antara che
vediamo con una neonata alla fine del romanzo? È stata marchiata dalla sua
esperienza personale? Riprodurrà il modello materno o se ne distaccherà?
Ci saremmo aspettati di più, più originalità,
più profondità, da un libro finalista al Booker Prize 2020. Il romanzo è
ambientato a Pune, in India, ma, a parte il colore della vita nell’ashram, a
parte qualche dettaglio superficiale sugli oroscopi, c’è poco di indiano nelle
sue pagine. Il tono è volutamente leggero ma a volte sembra indugiare troppo su
dettagli sgradevoli che finiscono per stancare.
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