Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
Ed.
Neri Pozza, trad. Massimo Ortelio, pagg. 316, Euro 19,00
Dovremmo sempre leggere con attenzione gli
esergo dei libri- ci forniscono indicazioni preziose, ci preparano a quello che
leggeremo. Sono due gli esergo del nuovo romanzo di William Boyd, “Trio”.
Uno
è tratto da Cechov: La vita più vera e
interessante della maggior parte delle persone trascorre al riparo della
segretezza.
L’altro
da Camus: Vi è soltanto un problema
filosofico veramente serio: quello del suicidio.
Doppie vite, come nel dottor Jekyll e Mr. Hyde, dunque. Vite che si domandano se valga la pena di essere vissute. È di questo che leggeremo. E inoltre il titolo, “Trio”, ci fornisce un’ulteriore indicazione: tre personaggi saranno i protagonisti, alternandosi in veloci capitoli, ricchi di humour asciutto tipicamente inglese. L’ambientazione è Brighton. L’anno è il mitico 1968, l’anno che segnò una svolta per tutti, in Europa e in America.
Elfrida Wing, moglie del regista Reggie
Tipton, soffre del blocco dello scrittore- non riesce più a scrivere niente da
dieci anni, dopo quattro romanzi di cui uno l’ha resa famosa, tanto che è stata
paragonata a Virginia Woolf. Non fa che bere vodka, inodore e incolore. Lei la
travasa in bottiglie di aceto bianco e il marito non si fa domande sull’alto
consumo di aceto in quella casa. Non gli interessa saperlo, è sempre impegnato
a tradire la moglie.
Talbot Kydd, produttore, non più giovane,
sposato e con due figli adulti, non è soddisfatto della sua vita- è sul punto
di fare coming out sulle sue vere
inclinazioni sessuali. Dopotutto è il ‘68 ed è in vigore la nuova legge che
depenalizza l’omosessualità.
Anny Wiklund, attrice americana di
successo, è la star del film diretto da Reggie Tipton. Ha un ex marito
ricercato per terrorismo, un amante francese e si sveglia nel letto con il
giovane coprotagonista del film.
Ogni capitolo che introduce uno dei tre personaggi incomincia con il loro risveglio, metafora di un altro risveglio ad una possibile nuova vita. E poi ci si cala subito nelle storie, dei personaggi e del film, e a volte riesce difficile distinguere la loro vita vera da quella sul palcoscenico, perché l’arte copia la vita- o è la vita che copia l’arte? C’è un turbinio di doppi- doppie case per doppie vite, doppi nomi (si può cambiare nome per i motivi più diversi, come il regista Reggie che vuole essere chiamato Rodrigo perché si pensi che lui sia italiano come i famosi registi del momento, oppure come Kydd che è conosciuto con un altro nome dal portinaio della sua seconda casa dove ha uno studio segreto e blindato, o come Elfrida che non vuole essere riconosciuta), ma anche doppie scene del film, cambiate per le esigenze più diverse. Soprattutto il finale del film sarà cambiato, con una spettacolare scena suicida, dopo che scompare l’attrice in fuga dall’ex marito. Ci sarà un suicidio vero, uno possibile, entrambi ‘annunciati’ da quello di Virginia Woolf su cui Elfrida Wing vorrebbe scrivere un romanzo (è un romanzo dentro il romanzo che non va oltre il primo paragrafo che è il doppio di quello che dà l’avvio al romanzo di William Boyd).
William Boyd rielabora una struttura non
nuova nel genere- cogliere dei personaggi in un momento cruciale della loro
vita e seguirli nella svolta che riusciranno o non riusciranno a darle. E lo fa
sul canovaccio di un film scadente che non soddisfa nessuno, proprio come Elfrida,
Talbot Kydd e Anny non sono soddisfatti delle loro vite. Il romanzo è una
commedia di maniera, potrebbe diventare uno sceneggiato televisivo, divertente
e amaro. E tuttavia, ricordando il bellissimo “Ogni cuore umano” del 2005, non
possiamo non restare un poco delusi.
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