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saga
Tommaso Avati, “Il silenzio del mondo”
Ed.
Neri Pozza, pagg.205, Euro 17,00
Lina. Rosa. Laura. Francesca. Quattro
generazioni, ma solo le ultime tre sono legate da un vincolo famigliare, nonna,
mamma, figlia. Lina è la donna che- siamo negli anni dopo la prima guerra
mondiale- non riesce ad avere figli, le muoiono uno dopo l’altro, appena nati.
Il marito allora decide per un’adozione. Non tanto perché ami i bambini, ma
perché ha sentito dire che, adottando una bambina dell’orfanotrofio, riceverà
regolarmente una certa somma di denaro per il mantenimento. È la sorte che gli
fa scegliere Rosa. Anzi, è suo fratello, rimasto cieco dopo la guerra, a
insistere per quella bimba che lui neppure vedeva. Si accorgono ben presto che
Rosa è sorda. Ed è una sordità che tramanderà alla figlia e alla nipote.
Tommaso Avati (figlio del regista Pupi Avati) dice di conoscere per esperienza personale ‘il silenzio del mondo’ in cui ci introduce con il suo romanzo. E noi restiamo turbati dall’ingresso in una realtà ovattata in cui non è la parola a darci gli indizi di quello che sta accadendo, ma è la gestualità, sono gli sguardi, i comportamenti degli altri. E siamo consapevoli dell’errore comune di pensare ai non udenti come a dei ritardati, semplicemente perché sembrano non reagire a quanto gli viene detto. È quello che accade a Rosa, disprezzata e considerata un’idiota dal padre adottivo, abusata da un negoziante che approfitta di lei, che non sa, non capisce quello che le sta succedendo, perché nessuno le ha mai detto niente. Povera Rosa che impara per caso i primi rudimenti del linguaggio dei segni. Sua figlia e sua nipote saranno più fortunate- si deve arrivare oltre la metà del ‘900 perché la lingua dei segni italiana (in acronimo Lis) sia conosciuta e diffusa. In più Laura e Francesca (quest’ultima non sorda dalla nascita) impareranno anche ad usare la voce e riconoscere il labiale.
La storia di queste tre generazioni di donne afflitte da sordità ha, in apparenza, molto in comune con la storia di altri personaggi femminili- amori, tradimenti, figli, esperienze di lavoro. Ma il silenzio del mondo rende tutto diverso, la differenza e le difficoltà dei rapporti con gli altri rendono tutto differente. Il mondo si divide tra ‘udenti’ e ‘non udenti’, tra ‘loro’ (perché gli udenti sono ‘loro’ per Laura e Francesca) e ‘noi’. E, mentre ‘loro’, pur nella piena accettazione come nel caso del marito di Laura, insistono perché usino la voce, perché solo le parole contengono la piena ricchezza della realtà, perché non vengano subito etichettate come diverse, Laura si oppone e arriva a schierarsi sul fronte di un’opinione del tutto diversa. Sono i segni, quelle mani danzanti nell’aria, ad essere meglio delle parole, perché non esiste la menzogna nella lingua dei segni e, invece, tutti ‘loro’ sono menzogneri. Non lo aveva sperimentato forse Rosa, non lo ha provato lei, come può Francesca fidarsi di ‘loro’? Ma è proprio vero, questo? Il finale, con il segreto svelato di Rosa, sembrerebbe provare diversamente.
Si legge velocemente, il romanzo di Tommaso
Avati, perché lo stile è piano, la narrativa si riavvolge a tratti su se stessa
per fare un balzo indietro nel passato e i personaggi femminili ci intrigano,
perché sembrano avere una dimensione aggiunta, perché solo loro sembrano poter
accedere al silenzio del mondo.
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