vento del Nord
Ed.
Iperborea, trad. Elisabetta Svaluto Moreolo, pagg. 144, Euro 15,00
Abbiamo mai pensato alla solitudine dei
guardiani di un faro? O a quella dei marinai imbarcati su una nave faro,
all’ancora nei mari dove sarebbe impossibile costruire un vero faro? Il piccolo
grande libro dello scrittore olandese Mathijs Deen (di lui abbiamo già gustato
“Per antiche strade”) ci fa salire sulla nave faro Texel insieme al suo
equipaggio (e al capretto di cui parleremo), ci fa sperimentare l’isolamento,
la claustrofobia in un luogo aperto, la nostalgia della terraferma, la
frustrazione dell’essere fermi su una nave il cui motivo di essere dovrebbe
essere quello di spostarsi, il conto dei giorni prima che arrivi la nave che
porterà i marinai del nuovo turno.
I protagonisti: il cuoco Lammert, il marinaio Snoek, il capretto. Intorno a loro una manciata di marinai e il comandante.
Prima di tornare a bordo, alla fine dei
giorni a terra, Lammert si fa dare un capretto da una contadina- ha in mente di
fare uno stufato secondo una ricetta indonesiana. Sono piccoli dettagli che
acquistano un significato proseguendo la lettura, nei flashback della vita di
Lammert, cresciuto nell’Indonesia olandese conquistata poi dai giapponesi da
cui sua madre era stata fatta prigioniera (lui ne ricorda le urla- che cosa le
stavano facendo?). Allora avevano un cuoco indonesiano da cui, anche se
bambino, Lammert aveva imparato delle ricette. Era stato in Indonesia che
Lammert si era preso la malaria per la prima volta.
I giorni in cui Lammert avrà un attacco di malaria a bordo saranno il punto di volta della narrazione. Siamo poi sicuri che il suo motivo per portare il capretto a bordo fosse veramente quello di metterlo in pentola? Dare il nome ad un animale vuol dire considerarlo un amico, meglio chiamarlo ‘stufato’ per non pensare ad altro.
Snoek è figlio di insegnanti, che cosa ci
fa lui sul mare? Scrive sempre, ha l’animo del poeta. Sono sue le riflessioni
sul controsenso di trovarsi su una nave, che dovrebbe essere fatta per salpare
e per entrare in un porto dopo un lungo viaggio e che invece non salpa mai e
non arriva da nessuna parte. Snoek si affeziona al capretto, è lui che escogita
delle soluzioni perché l’animale non caschi in mare e non si faccia male.
L’attacco di febbre che mette fuori gioco il cuoco e la nebbia che cala sul mare, con la sirena che ulula il suo gemito senza sosta- è questo il momento chiave, quello in cui una storia che ha i suoi risvolti buffi diventa tutto d’un tratto tragica. Non ce lo aspettavamo, forse? Non c’era un crescendo di segnali, un turbamento del solito ordine? Perfino la minaccia della grossa nave che sfiora la collisione con la nave faro nella nebbia è un anticipo del dramma finale. Così come il timore di non poter ricevere il cambio alla solita data.
Tuttavia è come se il faro avesse portato
un’illuminazione al marinaio Snoek. In questo viaggio immobile qualcosa cambia
in lui, cambia la sua comprensione del loro compito. “Noi siamo la luce”,
arriva a pensare. Non è vero che loro non sono veri marinai. ‘Noi viviamo in
mare, loro lo attraversano soltanto per arrivare a un porto, a un posto dove il
mare non c’è più. Per loro il mare è un intervallo, per noi la destinazione’.
E c’è ancora un altro significato in questo
piccolo grande libro. La solitudine e l’incomprensione della nave faro diventa
quella di tutti noi. Come riflette a voce alta un marinaio, pensando alla sorte
di Snoek, ‘che cosa sappiamo degli altri? Che cosa sappiamo davvero di un’altra
persona?’
Bellissimo.
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