Voci da mondi diversi. Africa
romanzo epico
Jennifer Nansubuga Makumbi, “Kintu”Ed.
66thand2nd, trad. E. Benghi, pagg. 457, Euro 20,00
5 gennaio 2004. Bwaise, agglomerato di case
vicino a Kampala, capitale dell'Uganda. All'alba, quattro membri del Local
Council prelevano Kamu Kintu dalla sua abitazione, presumibilmente per un
qualche interrogatorio di routine. Ma, lungo la strada per portarlo alla
centrale, inizia a serpeggiare la voce che abbiano arrestato un ladro e la
gentaglia inizia a picchiarlo. Finché muore sotto i colpi.
Questa scena non è, come appare, l'inizio del romanzo epico di Jennifer Nansubuga Makumbi, piuttosto la fine. Perché tutto incomincia con una maledizione tre secoli prima, quando Kintu (un nome che grossomodo corrisponde al nostro Adamo, il primo uomo) uccide, senza volerlo, uno dei suoi figli. Gli aveva dato uno schiaffo perché lo aveva sorpreso a bere dalla sua zucca contenente l'acqua, cosa proibitissima perché Kintu era il Ppookino, il governatore della sua gente, i Ganda. Il ragazzo era caduto e doveva aver picchiato la testa. Peggio ancora, il ragazzo non era stato sepolto adeguatamente e Kintu non aveva avuto il coraggio di rivelare quello che era accaduto alla madre. Dovremmo dire “alle madri”, e poi in realtà nessuna delle due donne gemelle, entrambe mogli di Kintu, era la vera madre, perché il ragazzo era un tutsi ed era stato adottato.
Il romanzo di Jennifer Nansubuga Makumbi è diviso in sei capitoli e questo, con la storia di un ‘peccato originale’ (compiuto da un uomo, badate bene, e non da una donna) è forse il più affascinante, perché ci parla di una società maschilista in cui la virilità di un uomo è provata dal numero dei figli e di conseguenza la donna sterile può anche essere molto amata dal marito ma non ha alcun valore. Eppure c'è una duplice valenza nell’esaltazione della virilità- si inneggia alla nascita di ogni figlio maschio, si esulta per la benedizione della venuta al mondo di una coppia di gemelli (uno dei fili portanti della narrazione: i gemelli sono così importanti da far cambiare il nome dei loro genitori proprio in quanto padri e madri di gemelli), i figli sono una ricchezza, un bene in comune fra tutte le mogli, e poi si ridicolizza, si sorride, si ride apertamente della fatica dell’uomo (di Kintu) a soddisfare tutte le mogli, della sua stanchezza nel non potersi sottrarre ad un nuovo matrimonio.
Ogni capitolo inizia con un riferimento a
quel discendente che è morto e che aspetta di essere riconosciuto nella camera
mortuaria, e poi ci porta in un altro tempo, ci introduce ogni volta un nuovo
personaggio- tutti, in qualche modo, colpiti dalla maledizione. Incontriamo
Suubi Kintu, la ragazzina che va a servire in una casa di gente benestante e
riesce ad inserirsi fra di loro come una figlia (è inseguita dallo spirito di
una gemella morta alla nascita), Kanani Kintu e la moglie, fanatici religiosi
di un gruppo evangelico, che hanno due figli gemelli, maschio e femmina,
‘troppo’ uniti tra di loro, Isaac Newton Kintu, nato da uno stupro, che vive
con l'incubo di avere contratto l’AIDS ed essere colpevole della morte della moglie,
Miisi Kintu che ha studiato in Inghilterra e ritorna in una Uganda che risente
della dittatura e della guerriglia degli anni ‘80 in cui sono morti i suoi
figli.
Sono storie solo in apparenza tutte slegate ma, a meglio guardare, c’è sempre qualcosa che le unisce- un richiamo alla leggenda della maledizione di famiglia, l'ereditarietà della gemellarità o, più banalmente, della febbre da fieno. Finché un raduno di famiglia viene organizzato alla fine, forse una certa pace viene restituita ai vivi e ai morti che si sono sempre aggirati tra i vivi.
È un romanzo ambizioso, “Kintu”. Storia di
una famiglia attraverso diverse generazioni, di un clan tribale, di una nazione,
il Buganda che è diventato Uganda passando da un’epoca coloniale, che ha
lasciato dietro di sé una profonda impronta- una lingua (l'inglese) e una
religione-, all’indipendenza e ai disordini con i presidenti Obote e Idi Amin.
Ma non è la politica con la grande Storia ad essere in primo piano. La Storia
viene letta attraverso le persone, attraverso quella trasformazione che si
opera nei personaggi di epoche diverse che finiscono per appartenere un poco ad
entrambi i mondi- quello tribale degli stregoni e degli spiriti e quello
razionale e scientifico.
Il cambiamento più significativo, la
conclusione di questo lungo percorso di formazione di una famiglia, è espresso
alla fine nelle parole di Miisi, quando nomina sua erede la figlia: “Io sono il
primo Ganda che nomina una donna sua erede. Passerò alla storia.”
Vale la pena di correre il rischio di fare confusione tra i molti Kintu, perché questo è un romanzo grandioso, una reinterpretazione tutta africana di “Cent'anni di solitudine” in un linguaggio lirico, fantasioso, realista. Affascinante.
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