Voci da mondi diversi. Francia
Non può che avere gli occhi verdi come le piante che ama e a cui dedica
il suo libro, Marc Jeanson, giovane responsabile dell’Erbario del Museo
Nazionale della Scienza di Parigi. E dai suoi occhi traspare passione ed
entusiasmo, quando parla delle piante. Traspaiono anche dalla sua voce- parla
velocissimo, come volesse dire quanto più cose possibile, per aggiungere altro
a quello che ci ha già detto nelle sue pagine.
In un’era di computer e tablet che cosa resta del botanico? In un’era in
cui il tempo si è polverizzato, che mi sembra l’esatto opposto del
tempo della ricerca del botanico?
È una domanda importante. Perché questo non è un libro nostalgico. Non
l’abbiamo scritto in quest’ottica. Il computer è formidabile, il dna e tutte le
nuove tecniche sono straordinarie per capire meglio il mondo degli esseri
viventi. Questo libro è per dire che né il computer né gli algoritmi possono
sostituire l’uomo perché non tutto si può fare con la tecnica. Quello che
l’uomo ha iniziato nel secolo XVI, raccogliendo, identificando e seccando le
piante, è una tappa fondamentale. Un computer ci fa analizzare le sequenze del
dna, ma se noi non sappiamo di quale pianta si tratti, l’analisi non ha senso.
Va bene studiare le molecole, ma se non sappiamo da dove vengono queste molecole,
la ricerca non ha senso. Quindi, evviva il computer, evviva il dna, ma non
possono sostituire il gesto storico del botanico e del suo sapere che oggi si
rivela indispensabile per la costruzione del nostro futuro.
Ci sono ancora luoghi da esplorare e piante da scoprire? O forse, proprio
perché tutto si evolve, ci saranno nuove specie di piante che non esistevano
prima e non ci sarà fine alle scoperte?
Da quando l’uomo ha iniziato a
descrivere l’ambiente in cui vive, diciamo da 5 secoli, dal Rinascimento,
sappiamo che perché una specie si fissi e si evolva in una nuova specie sono
necessarie migliaia di anni. Ci sono di continuo movimento e mutazioni, ma il
tempo è molto lungo e possiamo solo documentare il flusso di ciò che ci ha
preceduto. Possiamo documentare solo la nostra eredità: ci muoviamo su una
temporalità eccessivamente lunga.
E sì, c’è ancora molto da scoprire.
In Colombia- il paese che è più ricco in biodiversità per unità di superficie-
si scoprono centinaia di specie nuove di piante e fiori. Le scoperte sono
soprattutto nelle zone tropicali dove c’è la maggior parte di biodiversità del
pianeta. Se non si vuole restringere il campo alle piante, ma si vuole
includere tutto il mondo vivente- funghi, alghe, batteri, organismi unicellulari-
sono stati descritti solo il 10/15 % delle specie fino ad oggi.
Visto che parliamo di scoperte, come ha ‘scoperto’ la sua vocazione di
botanista? E come ha scoperto le palme?
Ne ho parlato anche nel libro. Non è
un interesse scontato, in genere è più facile essere attratti dagli animali con
cui abbiamo più cose da condividere. Nel libro parlo della mia scoperta del
mondo vegetale, del momento in cui mi venne chiesto di adottare una pianta. La
mia prima attrazione è stata per il lato estetico. Scatta come un click
emozionale ed estetico, la fulminazione per una pianta. Questa è la prima cosa
che è accaduta. Il tentativo di capire come e perché è venuto dopo. Ed allora
sono entrato nel mondo della scienza botanica.
Perché le palme? Per un discorso estetico.
A 15 anni ho conosciuto le palme nell’Ovest del Senegal e mi hanno affascinato.
La bellezza delle piante è una bellezza accessibile a tutti.
Devo confessarle che, quando ho letto del suo amore per le palme, mi sono
sforzata di ‘vedere’ tutta la bellezza che ci vedeva Lei, ma non ci sono
riuscita.
Mi ci vorrebbe molto per spiegare
perché le palme mi abbiano affascinato. Per l’unicità della loro biologia. Le
palme mi commuovono: si alzano sottili e alte, svettano verso il cielo,
sembrano fragili eppure resistono ai venti. Hanno una loro resistenza, una
forza di recupero. Sono così belle con quelle foglie allungate attraverso cui
filtra la luce.
Nella Liguria dove sono nata le palme sono morte per una malattia. E’
tristissimo vedere il paesaggio senza le palme.
È vero, è triste ma solo se
considerato da parte umana. C’è soltanto una specie di palma nativa in Europa
ed è la palma nana. Le altre palme sono state introdotte centinaia di anni fa:
la loro scomparsa è così importante per l’equilibrio della natura? L’ecosistema
dell’Europa mediterranea funziona senza palme, non sono cruciali per
l’equilibrio. Abbiamo importato le palme e anche la malattia che le ha
distrutte: non è un’emergenza, per me. Naturalmente non parlo dei paesi per cui
le palme sono una risorsa economica, come per il Marocco, dove la morte delle
palme è stato un dramma. È una relatività a cui porta il fatto stesso di essere
un biologo, che cambia il tuo modo di pensare.
Nel suo libro parla di tante cose di cui non sapevo nulla. Una mi ha
colpito in particolare: il carporama. Me ne può parlare?
fiori di cera |
Questa è una storia bellissima che
nasce dall’ossessione di rappresentare la natura con tecniche diverse. Fu a
Firenze che iniziò l’arte di riprodurre le specie della natura con la cera. Nel
Museo di Storia Naturale di Firenze ci sono vetrine su vetrine colme di
esemplari di cera. Nel secolo XIX, nelle isole Mauritius, D’Argentelles usò la
cera per mostrare all’Europa la diversità dei fiori e dei frutti dei tropici.
Lo scopo era fissare in cera la bellezza e mostrarla ai francesi. Non avrebbe
potuto farlo in altra maniera data la lentezza dei viaggi e l’impossibilità di
fare arrivare fiori e piante intatti a destinazione. Attualmente le creazioni
di D’Argentelles sono a Parigi ma non sono visibili al pubblico: certe
condizioni ambientali devono essere mantenute per proteggerli.
fiori di vetro |
Proprio così.
Mi ha già detto che questo non vuole essere un libro nostalgico. Io però
ho avuto l’impressione che volesse essere un contributo alla memoria, una sorta
di testimonianza di un mondo che forse non sta scomparendo ma che di certo non
viene guardato con l’attenzione meritata. Che fosse una sorta di ‘carporama’ di
parole.
È interessante che Lei lo dica. Io sono stato fortunato a vedere
l’Herbier prima del rinnovo. Il mondo è cambiato completamente e io volevo ne
restasse testimonianza. Non la chiamo ‘nostalgia’, ma è lecito osservare che
questa scienza non è viva oggi come lo era un tempo. Dico che era meglio prima,
ma potrebbe anche tornare ad essere come era. Nel libro c’è una testimonianza in una maniera che non è mai stata fatta
prima.
Fra i botanisti del passato- tutti personaggi singolari- quale è quello
che Lei ammira di più per quello che ha fatto?
È impossibile rispondere. Però tutti hanno qualcosa in comune: la
passione di dedicarsi alle piante. Io devo tutto a queste persone- queste
collezioni che abbiamo oggi sono dovute a tutti loro. E poi provo affetto per
alcuni di loro. Patrick Blanc è un mio amico e allora si sente che ne parlo con
più affetto, che è stato importante nella mia vita. Di tutti loro ammiro
moltissimo la dedizione a questa passione.
Patrick Blanc |
Ho letto il libro cercando di continuo su Google le fotografie delle
piante di cui Lei parlava: mi sarebbe piaciuto che il libro fosse corredato da
immagini delle piante.
Mi è stato detto anche da altri lettori. In realtà è stato il mio
editore francese, Grasset, a non voler inserire immagini nel libro, perché
questa è la loro linea editoriale. In compenso il mio editore in Germania
aggiungerà delle foto. All’inizio mi sono sentito un poco frustrato da questa
mancanza e poi, però, ho pensato due cose: che il lettore può far ricorso a
Google, come ha fatto Lei, e che l’assenza di foto lasciava libera
l’immaginazione.
Leggere a Lume di Candela è anche una pagina Facebook
l'intervista e la recensione saranno pubblicate su www.stradanove.it
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