biografia
Monica Kristensen, “L’ultimo viaggio di Amundsen”
Ed. Iperborea, trad. Sara Culeddu,
pagg. 454, Euro 19,50
Vedo il suo nome ogni giorno, sulla targa
della strada che incrocia quella dove è la mia casa: Roald Amundsen. Un nome a cui è attaccato un mito, quello del
grande esploratore polare. Un nome che avevo finito per non vedere neppure più,
per il logorio dell’abitudine. E verso il quale ho sollevato di nuovo gli
occhi, dopo aver letto il libro di Monica Kristensen, scrittrice, glaciologa e
ricercatrice polare lei stessa, di cui avevo tanto apprezzato “Operazione
Fritham” e “La leggenda del sesto uomo”. “L’ultimo viaggio di Amundsen” non ha
nulla di fittizio, è un romanzo-documentario, la storia della spedizione al
polo Nord di Umberto Nobile con il suo dirigibile Italia, partita trionfalmente da Kings Bay nelle isole Svalbard e
terminata tragicamente con la perdita di quota e lo schianto sul ghiaccio il 25
maggio 1928, e delle numerose spedizioni di salvataggio che furono organizzate
subito dopo: quella italiana (l’idrovolante Savoia-Marchetti S55 con capo
pilota Umberto Maddalena fu il primo ad avvistare la tenda rossa del gruppo dei
sopravvissuti il 20 di giugno), quella norvegese, quella svedese (il tenente
Einar Lundborg con un Fokker 31 riuscì ad atterrare sulla pista di neve e
ghiaccio e a portare in salvo Nobile il 23 giugno), finlandese, sovietica (il
12 luglio la gigantesca nave rompighiaccio Krassin
prese a bordo due del gruppo dei tre superstiti che si erano allontanati a
piedi in direzione della terraferma e infine, il 20 luglio, 48 giorni dopo
l’incidente, gli altri cinque compagni di Nobile).
Mentre l’involucro del
dirigibile non fu mai ritrovato, una storia a sé dentro le molteplici storie-
ognuna con i suoi drammi, gli incidenti, le polemiche, le rivalità, le accuse,
le morti- occupa il suo posto nel libro di Monica Kristensen: la spedizione francese
con l’idrovolante Latham 47 del cui equipaggio di sei persone faceva parte
Roald Amundsen. Il Latham, partito da Tromsø il 18
giugno, scomparve- a mesi di distanza ne furono trovati dei resti galleggianti,
un serbatoio vuoto, uno spezzone di ala.
Era un eroe sul viale del tramonto, Roald Amundsen. Aveva già dato il
meglio di sé in anni gloriosi. E forse il suo carattere era stato forgiato e
modificato da quei trionfi. Forse avevano aumentato il suo distacco dagli
altri, dai comuni mortali che non avevano, come lui, sfidato l’impossibile. Si
era isolato da solo, la sua autobiografia dal tono a volte sprezzante aveva
suscitato risentimenti nei suoi confronti e- come in un cerchio chiuso- lui si
sentiva spinto verso un obiettivo audace, più audace di quello degli avversari.
Parlando di lui, l’esploratore polare Fridtjof Nansen aveva scritto all’ambasciatore norvegese a Londra,
“anch’io credo che ci troviamo di fronte a un disturbo mentale, una specie di
irrequietezza patologica.” C’era un alone di segretezza che circondava i
preparativi di Amundsen per il salvataggio di Nobile con cui aveva avuto forti
contrasti. Nessuno sapeva che rotta intendesse tenere, quale fosse il suo
obiettivo: la tenda rossa o la ricerca del pallone del dirigibile Italia? Fu per questo che le iniziative
per individuare il Latham tardarono. E poi anche perché era già successo che Amundsen
‘scomparisse’ per poi riapparire- lui era l’eroe mitico, il vichingo
invincibile e immortale.
E invece Amundsen, che era stato in terapia per un tumore, pensava alla
morte. In un’intervista aveva detto ad un giornalista italiano: “Ah, sapesse
com’è bello il paesaggio lassù! E’ lì che vorrei morire, vorrei una morte
cavalleresca, che mi cogliesse nel corso di una grande impresa, una morte
rapida e indolore.” Parole profetiche? Chissà. E Monica Kristensen azzarda un’ipotesi
(fondata su ricerche) sulla fine del grande esploratore.
memoriale a Caudebec |
Estremamente documentato, dettagliato e accurato, “L’ultima spedizione
di Amundsen” è un libro affascinante che ci fa ‘sentire’ il fascino della
scoperta di luoghi inesplorati, l’attrattiva di un paesaggio bello e terribile di
ghiacci che ci ricorda i versi di Coleridge, Il ghiaccio era ovunque intorno:/ si spaccava e ringhiava, e ruggiva e
ululava, la brama di sfidare ogni limite, il desiderio di protagonismo. Ci
fa ammirare l’ardire di uomini in un’epoca che non conosceva la nostra
sofisticata tecnologia e nello stesso tempo ci fa percepire la piccolezza
umana.
La magia che il libro esercita su di noi è proprio in questo contrasto:
è la grandiosità della natura la vera protagonista del romanzo di Monica
Kristensen.
Leggere a Lume di Candela è anche una pagina Facebook.
La recensione sarà pubblicata su www.stradanove.it
L'intervista con la scrittrice seguirà domani.
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