vento del Nord
Non avevo potuto incontrare Monica
Kristensen quando era stato pubblicato “Operazione Fritham”, perché la
scrittrice aveva dovuto annullare il suo viaggio in Italia. Ero stata
conquistata dai suoi romanzi, ero stata ammaliata dal paesaggio delle isole
Svalbard. Non potevo mancare a questo incontro, dopo aver letto un altro suo
libro affascinante. Alta e bionda, con occhi azzurri che sembrano due schegge
di ghiaccio, Monica Kristensen si appoggia su due stampelle- un problema alle
ginocchia, così si sente più sicura. Ma non c’è niente di debole o di
sofferente in lei. Le brillano gli occhi e la voce è piena di entusiasmo quando
risponde alle mie domande. E’ come se non fosse a Milano in questa primavera
piovosa, ma lassù, dove il cielo tocca la terra e dove la terra è ghiaccio
azzurrino.
Dopo due romanzi di indagine poliziesca, anche se non è del tutto esatto
definirli così, “L’ultimo viaggio di Amundsen” è un libro diverso che condivide
solo, almeno in parte, lo sfondo con gli altri due. Penso che Lei debba averlo
avuto in mente a lungo: che cosa l’ha spinta a prendere la decisione di
scriverlo, alla fine?
Solo tre dei miei libri sono stati pubblicati finora in Italia, ma in
realtà questo è il mio decimo libro. Vent’anni fa ho pubblicato libri
scientifici e poi sei romanzi di indagine poliziesca e, nel 2014, un altro
libro-documentario per cui avevo fatto molte ricerche. Nel 1962 c’era stata
un’esplosione in una miniera di carbone a Ny- Alesund, nelle Svalbard.
Erano
morte 21 persone e non si era trovata la causa dell’incidente, c’erano solo
ipotesi. Ho impiegato 25 anni per scrivere quel libro, “The tragedy in Kings
Bay”. In un certo qual modo era un libro simile a quello di Amundsen- un
libro-documentario non è un romanzo, tutto quello che vi è scritto ha una fonte
precisa. E ha qualcosa dello stile di un romanzo di indagine poliziesca. Quanto
al come ‘è nato’ il libro di Amundsen- avevo tenuto delle conferenze in
Danimarca sugli “Eroi d’inverno” e avevo parlato del culto degli eroi, degli
esploratori polari, dei tabù di cui non si parlava, come i numerosi suicidi
dopo le spedizioni. Mi interessava capire le sofferenze di Amundsen in quanto
persona. E’ questo che ha dato inizio al libro. Le sofferenze che si patiscono
sul ghiaccio sono stupefacenti. Ammiro moltissimo gli italiani sopravvissuti
nella tenda di Nobile. Ammiro soprattutto il tenente di vascello Alfredo Viglieri:
solo un uomo straordinario poteva prendersi quella responsabilità. Doveva
esserne stato in grado per via della sua formazione in Marina. Ha resistito per
un’eccezionale forza psicologica. Non so se dei norvegesi, al loro posto,
sarebbero sopravvissuti.
Ecco, avevo una domanda da farLe proprio a questo proposito: perché ci fu
un’accoglienza così ostile a Nobile al suo rientro?
Umberto Nobile |
Quando Nobile arrivò in Norvegia, fu accolto da ali di folla in silenzio
assoluto. Perché? Perché Amundsen era scomparso e la gente ne attribuiva la
colpa a Nobile. In realtà avevano la coscienza sporca perché Amundsen era stato
trattato molto male. Non gli avevano risposto nulla quando si era offerto per
guidare una spedizione di ricerca. Anzi, una spedizione era stata organizzata
senza di lui. Con la loro ostilità verso Nobile, i norvegesi volevano mostrare
quanto amassero Amundsen. Se Nobile non fosse partito per il polo, Amundsen
sarebbe stato vivo.
Non mi ero mai resa conto dell’importanza che Roald Amundsen ha per i
norvegesi, prima di leggere il suo libro. Che cosa rappresenta Amundsen per
loro?
Ho vissuto per anni con Amundsen: i norvegesi crescono con il mito di
Amundsen. La mia spedizione al polo Sud era alla ricerca di Amundsen, mi
sentivo vicina a lui. E poi i norvegesi hanno un’altra caratteristica, tendono
ad abbellire le loro storie con i loro eroi e ad eliminare da queste storie i
dettagli che non gli piacciono. Io ho cercato di tracciare un ritratto più
maturo, basato su fonti storiche, di Amundsen.
Ci sono due eroi norvegesi: Fridtjof
Nansen e Roald Amundsen. Ma Amundsen non può essere paragonato a nessuno. E’ di
gran lunga il più grande esploratore polare: è stato il primo a trovare il
passaggio a Nord-Ovest, il secondo per quello a Nord-Est, il primo ad arrivare
al Polo Sud e il primo a trasvolare il polo Nord.
Nansen non ha realizzato
molto, a parte la sua traversata della Groenlandia. Nansen aveva altre qualità,
era un diplomatico, aveva più esperienza nel trattare con re e governi, era un
bravo scrittore. Amundsen era più carismatico. Amundsen era più rude- se si
sentiva offeso, offendeva di rimando. Nella spedizione con il Norge, Amundsen era il capo, ma non
poteva fare a meno di Nobile. E il contrasto e l’inimicizia tra loro due
nacquero perché Nobile, imponente nella sua divisa, fu acclamato e applaudito
da una folla festante, mentre Amundsen non ricevette lo stesso trattamento.
Fridtjof Nansen |
In un certo senso, come ha detto anche Lei, “L’ultimo viaggio di Amundsen” è un romanzo
di investigazione, perché intende cercare quale fosse l’intenzione di Amundsen
quando partì a bordo del Latham. Era questo il Suo intento, quando ha iniziato
a scrivere il romanzo, oppure ci ha pensato mentre
scriveva e faceva ricerche sul viaggio?
La mia intenzione era di scrivere un ritratto dell’ultimo anno di
Amundsen. Poi mi sono imbattuta in così tante nuove informazioni che ho pensato
che ci dovesse essere qualcosa di sbagliato nelle supposizioni che erano state
fatte sulla sua fine. Calcolai e ricalcolai il consumo di benzina…Nel 2016
avevo finito il libro e andai in vacanza con mio marito e mia figlia a
Cambridge. Io sono incapace di godermi una vacanza, e insomma, nella biblioteca
di Cambridge ho trovato il rapporto di uno studioso, Alexander Glen, del 1936.
Non era un rapporto conosciuto, era stato secretato perché l’autore aveva
lavorato nei servizi segreti durante la guerra. Raccontava di quella scoperta
di un accampamento con resti di parti di equipaggiamento italiano ed un pezzo
della tela del pallone del dirigibile. Come era possibile? A quel punto dovevo
rivedere la parte finale del mio libro: come avevano potuto arrivare così
lontano i sei italiani che erano rimasti nel pallone? Nella parte finale del
mio libro faccio delle supposizioni- non potevo fare altro…
incidente del Fokker di Lundborg |
Sono rimasta impressionata dal numero di uomini che sono morti nelle
spedizioni di salvataggio. Mi chiedevo se ne valesse la pena e mi chiedevo
anche che cosa è che spinge gli esploratori polari a correre tali rischi:
soltanto desiderio di ricerca scientifica? O c’è anche il desiderio di mettersi
alla prova, di spingersi al limite estremo? O desiderio di protagonismo?
Le spedizioni di soccorso. C’erano forti spinte politiche dietro le
spedizioni di salvataggio. Primo: Mussolini voleva mostrare la forza
dell’aeronautica italiana e quali meravigliosi piloti avesse. Secondo: è una
vecchia legge del mare e dell’aria- si devono usare tutte le possibili risorse
per salvare i compagni in pericolo. E’ la loro assicurazione sulla vita: se si
troveranno in pericolo tra i ghiacci, i loro amici cercheranno di salvarli. Io
stessa mi sono trovata in una situazione analoga: non pensi mai che puoi anche
morire.
Nelle prime esplorazioni la spinta
era un misto tra la volontà di scoperta, dare un apporto alla scienza e alla
geografia. E anche io penso che ci fosse pure un desiderio di andare al di là
dei propri limiti, di mettersi alla prova. Il desiderio di essere un eroe è
sempre molto forte negli uomini. Ed è triste a dirsi, ma ci si abitua ad essere
un eroe: Amundsen voleva sempre andare al di là di quello che la gente pensava
di lui.
Dopo aver letto “L’ultimo viaggio di Amundsen” ho pensato che mi
piacerebbe molto leggere del viaggio di Roald Amundsen al polo Sud. Lei stessa
avrebbe molto da raccontare sul polo Sud. Pensa che ne scriverà?
È già stato scritto troppo su Scott e Amundsen e la corsa al polo Sud.
Se mai io ne scrivessi, sarei criticata sia dai norvegesi sia dagli inglesi, mi
farei dei nemici. Ma forse ci proverò. In Inghilterra è impossibile parlare
male di Scott- ci si scontra con un muro di silenzio. Avrei delle critiche da
fare ai due eroi, anche se alcuni punti della discussione sono irrilevanti
oggigiorno.
Per finire Le faccio la domanda che avrei voluto fare per prima. Lei cita
una frase di Amundsen in cui parla della bellezza dell’Artico. Lei c’è stata,
in questo paesaggio di ghiaccio: che cosa c’è di così speciale? C’è un ‘mal d’Africa’
di cui ci ha parlato Karen Blixen, che cosa spiega il ‘mal d’Artico’?
La purezza. È la purezza del paesaggio. Ghiacci, oceano, cielo.
Elementare. E i suoni- i gabbiani e il ghiaccio. E soprattutto la luce. Così
speciale, così difficile da spiegare. Io riesco in qualche maniera a
controllare il mio desiderio di Artico, perché so che posso andarci quando
voglio. Non sento come se avessi perso qualcosa. Molte persone si sentono in
trappola quando non sono nell’Artico, perché temono di non poterci ritornare.
Leggere a Lume di Candela è anche una pagina Facebook
Intervista e recensione saranno pubblicate su www.stradanove.it
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