Voci da mondi diversi. Europa dell'Est
Mircea Cărtărescu,
“Abbacinante”
Ed. Voland, trad. Bruno Mazzoni, pagg. 375, Euro 20,00
E’ sempre
raccogliere una sfida, leggere un libro dello scrittore rumeno Mircea
Cărtărescu. Perché significa abbandonare il mondo della realtà che crediamo di
conoscere, rinunciare ad usare gli strumenti della logica e della ragione ed
essere pronti ad addentrarci nel suo, di mondo. Che non conosce confini tra
vero e immaginato o sognato, che poggia sul sogno come strumento di conoscenza,
che si arricchisce dei colori più straordinari e vividi in una fantasmagoria
continua.
Era così in “Nostalgia” ed è ancora lo stesso tipo di
esperienza in “Abbacinante”, che ha un sottotitolo sibillino, “L’ala sinistra”,
finché non scopriamo che è la farfalla il leit motiv di questo romanzo
fortemente autobiografico. La farfalla in quanto insetto che cambia
radicalmente, al di là di ogni possibile riconoscimento, trasformandosi da
bruco informe nel fantastico lepidottero dalle ali variegate. Una macchia a
forma di farfalla sul corpo di Maria, la madre di Mircea, farfalle che
annunciano la primavera una sera all’uscita dal cinema, lo strano anello di
peli di mammut con una farfalla incastonata che Maria prende dal corpo
dell’amica sotto le macerie, gli aerei che solcano il cielo della guerra con
ali d’argento come farfalle, le farfalle imprigionate sotto la lastra di
ghiaccio del fiume che la gente di Tintava deve attraversare, la farfalla
gigantesca nutrita dalla donna che è rimasta intrappolata per dodici anni nella
gabbia dell’ascensore…fino alle migliaia di farfalle partorite dalle donne in
una delle sequenze finali, tra le più mostruosamente e grottescamente grandiose
del libro.
“Il passato è tutto, l’avvenire è niente,
il tempo non ha un altro senso”, scrive Cărtărescu. E se il passato è tutto, è
necessario recuperarlo e ricostruirlo interamente prima di poter scrivere di
sé, del Mircea che guarda crescere l’edificio di fronte con i piedi appoggiati
al calorifero. La storia della famiglia della madre prende l’avvio da lontano,
da quando la sua gente abitava in un luogo sperduto fra i monti Rodopi. E’ in
questo passato da leggenda che avviene il primo sabba orgiastico, a seguito del
consumo ingenuo e ignaro di cibi preparati con il “seme dello zingaro” che è poi
il papavero. Una scena riccamente indimenticabile che Cărtărescu descrive con
il pennello di Bosch, come quella seguente in cui i morti escono dalle tombe
per rifarsi sui vivi troppo vivi che li hanno dimenticati. Per rileggere
qualcosa di così selvaggiamente grandioso dobbiamo arrivare alla fine del
libro, nel racconto-sogno-allucinazione del sacrificio della vergine, in cui la
visione mistica del superamento del bene e del male culmina con un solo grido
estatico da tutte le bocche, ‘Orbitor’,
‘Abbacinante’.
Non tutto è così magicamente onirico, nel
romanzo di Cărtărescu. Anche se sospettiamo sempre di essere fatti “della
stessa materia dei sogni”, anche se a volte le statue sembrano prendere vita e
le cupole di Bucarest paiono mostruose mammelle giganti, la seconda parte del
libro è la quasi normale storia della madre dell’autore, arrivata sedicenne a
Bucarest. Quasi normale, finché non irrompe sulla scena il suonatore di jazz
nero con le sue storie su New Orleans, oppure Maria va al cinema e, come
avviene per i sogni, anche gli attori escono dallo schermo e camminano per
Bucarest.
Impossibile dire tutto quello che c’è nel romanzo di Cărtărescu- il
bombardamento, la presenza dei tedeschi e poi dei russi a Bucarest, l’uomo
della Securitate, e intanto seguiamo Mircea nei cambiamenti di casa, su per le
scale di casermoni che conservano un’aria di mistero per il bambino. Fino a
sboccare sul terrazzo e da lì si apre la vista su Bucarest, “il reame della
malinconia”, paragonata dallo scrittore ad una città in miniatura dentro una
bottiglia, alter-ego di Mircea Cărtărescu stesso.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
Nessun commento:
Posta un commento