Voci da mondi diversi. Europa dell'Est
Abbiamo intervistato Mircea
Cărtărescu, che è nato a Bucarest nel 1956 ed è uno dei più importanti scrittori
romeni contemporanei, per parlare con lui del suo nuovo romanzo, “Abbacinante”,
il primo di una trilogia. Per il romanzo precedente, “Nostalgia”, Cărtărescu ha
ricevuto il prestigioso premio letterario Giuseppe Acerbi.
Possiamo iniziare dal titolo? “Orbitor” in originale, “Abbacinante” in
italiano: che cosa è abbacinante?
In rumeno “orbitor” è un avverbio che significa
una forte luce, una luce mistica che non acceca ma apre i tuoi occhi. E’ luce
che non vedi con gli occhi ma con il cervello. E’ la luce di verità e vera
realtà, una luce mistica, come ho detto. E’ simbolo della meraviglia che
esistiamo e vediamo la luce e possiamo sentirla. Nonostante il suono della
parola, “Orbitor” non ha niente a che fare con “Die Blendung” di Canetti, che
significa ‘cecità’. (in italiano il
romanzo di Canetti si intitola “Auto da Fé”).
Il sottotitolo è “L’ala sinistra”, che è l’ala sinistra della farfalla:
significa che ci saranno altri libri che svilupperanno il tema, secondo il
corpo della farfalla? Perché la farfalla?
Il tema della farfalla è quello che dà
forma alla trilogia, e sì, ci sarà un secondo libro intitolato “Il corpo” e un
terzo, “L’ala destra”. I tre libri sono un solo libro a forma di farfalla.
Perché questo simbolo? Perché è la più grande metafora del destino dell’uomo:
alcuni sostengono che l’idea di spirito sia nata dalla farfalla. Siamo tutti
dei bruchi che strisciano, poi ci chiudiamo nella crisalide della nostra tomba
da cui speriamo di uscire sotto forma di farfalla. Questa è la ragione per cui
i greci non identificano lo spirito con la colomba ma con la farfalla. Psiche,
l’anima, aveva come propria rappresentazione una farfalla. Il libro è pieno di
farfalle come un insettario. Ho scoperto farfalle anche dove nessuno potrebbe
immaginarle. Dentro il nostro corpo ci sono tre cose che hanno la morfologia
della farfalla: il cervello è posato su una farfalla, l’osso che è alla base
del cranio ha la forma di farfalla; le ossa iliache hanno forma di farfalla,
nella fase fetale ciascuno di noi è coperto da queste ossa iliache; l’ultimo
elemento a forma di farfalla è la sezione di ciascuna nostra vertebra. Abbiamo
un gran numero di sezioni di farfalle all’interno della struttura midollare.
Un’altra forma di un tipo di farfalla è la coppia di gemelli e anche il tema
della gemellarità è presente nel mio libro. Io ho avuto un fratello gemello
identico che è scomparso quando aveva un anno. Era stato ricoverato in ospedale
per una polmonite doppia e un giorno la mia mamma ha trovato il suo lettino
vuoto. Era il 1957, si era nel pieno dello stalinismo, i miei genitori non sono
riusciti a sapere che cosa fosse successo. Una delle speranze che alimentano la
mia vita è quella di poter ritrovare il mio gemello che si chiamava Victor come
uno dei personaggi di “Abbacinante”. E il terzo libro terminerà con il
ritrovamento del gemello. Con questo incontro la trilogia si chiuderà come nel
mondo fisico, quando l’incontro tra materia e antimateria provoca un’esplosione
di luce accecante, orbitor.
C’è un legame tra questo libro e il precedente, “Nostalgia”. Prima di
tutto, lo stesso sentimento di nostalgia, il rimpianto per qualcosa che non c’è
più e che permea entrambi i libri. Di che cosa ha nostalgia?
Non sono autore di libri
ma di un mondo intero, tutti i miei libri sono interconnessi, “Abbacinante” è
una sintesi degli altri. “Nostalgia” è stato il mio primo romanzo in prosa e da
un certo punto di vista è il più perfetto, quello che è stato tradotto in più
lingue e che ha avuto più successo. “Nostalgia” è un libro neo-romantico, il
titolo suggerisce un’idea di paradiso perduto che può essere lo spazio
amniotico del ventre materno, la prima infanzia, ma innanzitutto il paradiso da
cui tutti veniamo che per me non ha valore temporale ma ha un senso metafisico.
“Nostalgia” non è ritorno al passato, per me, ma piuttosto un viaggio nel mio
mondo interiore.
Lei è il personaggio principale in “Abbacinante”, un libro fortemente
autobiografico. Tuttavia anche nei romanzi precedenti avevamo l’impressione che
Lei stesso rientrasse nel quadro: uno scrittore scrive sempre di se stesso? O
ha bisogno di liberarsi di se stesso prima di poter andare avanti con la
scrittura?
Ci sono molti tipi di scrittori, alcuni
provano la tentazione di dire, con le parole di Rimbaud, “io è un altro”, di
riferirsi a se stessi come ad un altro, e questo porta allo straniamento
surrealista. Per altri, invece, la ricerca è centripeta, la tentazione è andare
dentro se stessi, sempre più in profondità dentro di sé. Io ho tentato entrambi
i percorsi- in “Nostalgia”, pur sprofondando dentro di me, non mi sono
proiettato in me come sono, quanto nelle possibilità non realizzate del mio animo. Mi sono proiettato in una donna e, in
un altro racconto, in un vecchio: ho cercato di esplorare ciò che è stato in me
a livello virtuale ma che non ha potuto realizzarsi. In “Rem”, il migliore dei
racconti del libro, la protagonista è una voce femminile. Nostalgia significa
desiderio intenso di vedere il mondo con gli occhi dell’altro sesso, perché
l’essere umano in sé non esiste, esistono l’uomo e la donna. In origine eravamo
androgini e ciascuno di noi ha represso uno dei nostri due corpi che è rimasto
allo stato embrionale. Perciò in ogni essere maschile c’è una donna non
realizzata e in ogni donna c’è un maschio represso. In “Rem” ho dato voce alla
donna repressa in me: significa ricerca di sé e estraniamento dal sé.
Un altro tratto che accomuna i due libri è l’uso che Lei fa dei sogni e
delle visioni, facendo diventare reale quello che non lo è. Il sogno è una
sorta di terzo occhio, come quello degli indiani?
Senza dubbio. Quest’idea
dell’occhio di Shiva è presente nell’opera. Come è noto, l’occhio di Shiva è la
ghiandola pineale, nei rettili primitivi la ghiandola pineale era il terzo
occhio con cui i rettili vedevano la luce che viene dal sole allo zenit. Poi,
nella scala filogenetica l’occhio è stato riassorbito e si è andato a collocare
alla base del cranio. Questo occhio continua a vedere, assume informazioni dai
nostri veri occhi e ha un forte scambio con gli ormoni della crescita e quelli
sessuali- un tema importante nella seconda parte del libro.
In questa atmosfera intessuta di sogni i personaggi spesso si infilano
i gallerie scure o salgono scale: quanto è stato influenzato dalle teorie
psicanalitiche?
In gioventù ho letto con
attenzione Freud e Jung e ovviamente entrambi mi hanno influenzato, come hanno
influenzato tutta l’arte moderna. Ma non ho mai costruito i miei testi in base
a delle teorie. Kafka conosceva Freud in profondità ma era critico verso le sue
teorie, il che non significa che non sia stato influenzato da lui. Penso che lo
stesso Freud abbia sviluppato le sue teorie a partire dal clima del
romanticismo tedesco che è il vero scopritore del mondo interiore e del sogno.
La mia scrittura ha una dimensione onirica e io sono un grande sognatore nel
vero senso della parola: sogno molto, i miei sogni hanno strutturato la mia
scrittura e la mia vita. Molti dei motivi ossessivi dei miei testi sono sogni
che ricorrono continuamente e sono contaminati da ricordi antichi. Per questo
ho parlato sempre di un continuum ricordo-sogno-realtà, un continuum che definisce
il mio spazio interiore.
E quale è il suo debito agli scrittori latino americani?
Gli scrittori latino-americani hanno
il surrealismo francese come principale fonte di ispirazione, primo fra tutti
Cortázar che era affiliato al movimento e aveva vissuto nella Parigi di Breton.
Ma ovviamente questa influenza è penetrata sullo sfondo della letteratura
classica spagnola, del mondo magico dei miti sudamericani di origine indigena.
Da questa mescolanza felice sono venuti scrittori geniali che mi hanno
influenzato in maniera potente, Borges, Márquez, Ernesto Sábato: a loro sono
debitore di tanto della mia scrittura. E sono debitore a Vargas Llosa, che da
una decina di anni meriterebbe il Nobel.
I suoi libri sono ambientati a Bucarest, eppure si vede ben poco della
città nelle sue pagine. Come mai?
Anche se sono nato a
Bucarest, non conosco bene la città e non ho nostalgia di questa città per come
è. Per me Bucarest è sempre stata una costruzione immaginaria così come tutte
le città della letteratura. Nella prima pagina di “Notti bianche” Dostoevskij
descrive San Pietroburgo come una città fantasmatica che non ha una vera
realtà. Credo sia la stessa cosa per la Buenos Aires di Borges o l’Alessandria d’Egitto
di Durrell. Perciò quanto più le città paiono concrete e affascinanti in campo
letterario, più perdono la connotazione di città reali e diventano in qualche
modo degli impianti nel cervello di chi scrive. La mia Bucarest non ha legami
con la polverosa città contemporanea, ma è una rappresentazione del mio stesso
essere, è un mio specchio architettonico. In “Abbacinante” non ho scritto solo
di Bucarest ma di più città, New Orleans, Amsterdam, Como, poiché, essendo il
romanzo in forma di farfalla, queste città rappresentano gli occhi sulle ali
della farfalla. Ma anche le altre città sono tanto immaginarie quanto Bucarest.
Un membro della Securitate compare nel romanzo. Lei è nato nel 1956 e
quindi è vissuto negli anni del regime comunista: che cosa ha risentito di più,
in quegli anni? E che cosa ha apprezzato maggiormente?
Il periodo comunista non
è stato tutto uguale. Durante lo stalinismo, negli anni ‘50, non si è potuto
fare letteratura, il terrore era al massimo grado. Negli anni ‘60 e ‘70 c’è
stata un’apertura anche culturale. In quel periodo anche la qualità
dell’insegnamento era molto buona, l’attività editoriale era intensa- c’erano
moltissime traduzioni di tutto quello che era di valore letterario nel mondo.
E’ il periodo in cui si è sviluppata intellettualmente la mia generazione, che
era apolitica perché essere uno spirito politico significava suicidio. Abbiamo
preferito scrivere letteratura e protestare con questa contro il regime,
indirettamente. Gli anni ‘80 sono stati più faticosi da sopportare perché è
comparsa la tirannia personale di Ceausescu e della Securitate che erano i suoi
cani da guardia. Anche io, come tutti gli altri, ho sopportato l’incattivimento
della vita ma non ho abbandonato la fiducia nella letteratura. E anche in
quegli anni difficili ho scritto libri di cui non mi sono dispiaciuto. E’ stata
la mia forma per protestare, una modalità per sopravvivere. In realtà il
comunismo rumeno è stato il peggior fascismo.
In questa luce, allora, l’uso del sogno e di una scrittura allusiva è
servito per sfuggire al controllo, per far pervenire un messaggio?
Io ho sempre scritto
così e non per sfuggire alla censura, ma per esprimere me stesso. Però è
esistito un atteggiamento così nella letteratura rumena ed è stato dato il nome
di atteggiamento esotico a questa maniera di esprimersi tramite parabole. Buona
parte della letteratura di quel periodo è stata parabolica per evitare la
censura. Ma i censori non erano idioti, non si lasciavano ingannare così
facilmente e questa letteratura non ha raggiunto il suo scopo. La mia generazione
ha preferito essere se stessa anche a rischio di non essere pubblicata. Io
stesso ho scritto in quel periodo un poema di 7000 versi senza speranza di
essere pubblicato- era un urlo di rivolta contro la tirannia.
La letteratura sotto il comunismo e la letteratura adesso: in apparenza
uno dei vantaggi del non essere un paese capitalista è che i romanzi
dell’Europa dell’Est non sono mai dei “best sellers” nel significato negativo
del termine, non sono mai costruiti per attirare dei compratori. Scriveranno in
maniera diversa gli scrittori adesso?
In realtà sarebbe bene
che fosse così. Tra gli scrittori dell’Est dell’Europa ci sono molti
imbroglioni che hanno imparato a vendersi seguendo dei cliché ovvii che
l’Occidente ha nei confronti dei loro paesi. In qualche misura anche gli
scrittori più bravi scrivono adeguandosi alle aspettative dell’Occidente,
amputando la visione originale e mirando ad un successo di vendita. E’ vero che
prima della caduta del muro di Berlino nei paesi dell’Est non si poneva il
problema né del profitto sulle vendite e neppure della fama che poteva
conseguirne, perciò il criterio estetico era più dominante di ora e la
competizione tra gli scrittori era più idealista. Oggi anche da noi sono
penetrati dei meccanismi di mercato : il mondo degli scrittori è diventato un
mondo di concorrenza. Credo in un compromesso tra il nuovo ordine letterario e
i propri impulsi interiori. Se queste tendenze contrarie arrivano ad
equilibrarsi, avremo la condizione felice per cui gli scrittori dell’Est
possono penetrare tra i grandi scrittori conosciuti e riconosciuti come tali.
Altrimenti i rischi sono o di restare un genio sconosciuto in una cultura
oscura oppure che si arrivi ad essere uno scrittore di best seller che ha
conquistato il mondo ma ha perso la sua anima.
l'intervista e la precedente recensione sono state pubblicate su www.stradanove.net
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