martedì 20 febbraio 2018

Herta Müller, “Il paese delle prugne verdi” ed. 2009

                                                    Voci da mondi diversi. Europa dell'Est
                                                            la Storia nel romanzo
       premio Nobel

Herta Müller, “Il paese delle prugne verdi”
Ed. Keller, trad. Alessandra Henke, pagg. 254, Euro 14,00

Titolo originale: Herztier

Quando stiamo in silenzio, mettiamo in imbarazzo, diceva Edgar, quando parliamo, diventiamo ridicoli. Sedevamo da troppo tempo davanti alle foto sul pavimento. A forza di sedere , le mie gambe si erano addormentate.
   Schiacciavamo tante con le parole in bocca quante coi piedi nel prato. Ma anche col silenzio.
  Edgar taceva.
 Non riesco a immaginarmi alcuna tomba, oggi. Solo una cintura, una finestra, una noce e una fune. Ogni morte è per me come un sacco.
Se ti sentisse qualcuno, diceva Edgar, ti prenderebbe per pazza.

   Si intitolava “La letteratura necessaria” l’evento del Festival della Letteratura di Mantova che presentava come ospite Herta Müller, la scrittrice rumeno tedesca a cui è stato appena conferito l’alto onore del premio Nobel 2009 e di cui si era parlato poco finora in Italia. Succede, che la letteratura necessaria- necessaria per chi la scrive e per chi la legge- non sia nota quanto la letteratura di mercato. Succede, perché, riconosciamolo, c’è una letteratura che potremmo chiamare da ‘fast reading’, coniando il termine per analogia con ‘fast food’, e ci sono poi i libri che hanno uno spessore diverso, che devono essere assaporati in maniera differente, che corrispondono ad una esigenza profonda. Di eticità, di libertà, di umanità essenziale. E i romanzi di Herta Müller appartengono  a questo tipo di letteratura.
    Soltanto due libri di Herta Müller sono stati tradotti finora in italiano: nel 1991 la casa editrice Marsilio propose “Viaggio su una gamba sola”- la testimonianza tesa e addolorata di una donna ‘straniera all’estero’, costretta dal regime di Ceauşescu ad emigrare a Berlino, in cerca di una nuova identità per sé; lo scorso anno la casa editrice Keller ha pubblicato “Il paese delle prugne verdi”.

Un bel titolo, “Il paese delle prugne verdi”, anche se non corrisponde a quello originale, Herztier, “La bestia del cuore”. Perché le prugne verdi contengono in sé una minaccia di morte che serpeggia poi in tutto il libro. Il padre della bambina che diventa la ragazza che è l’io narrante della vicenda (la scrittrice stessa) raccomanda sempre alla figlia di non mangiare le prugne verdi, perché il nocciolo è morbido e, se lo si inghiotte, si muore. Più tardi si vedranno le guardie che si riempiono le tasche di prugne verdi, prima di allontanarsi in fretta, “Perché mangiaprugne era un insulto. Si chiamavano così gli arrivisti, i rinnegatori di se stessi, i leccapiedi privi di scrupoli usciti dal nulla, le persone che camminavano sopra i cadaveri. Anche il dittatore veniva chiamato mangiaprugne”.
     “Il paese delle prugne verdi” si srotola tra passato e presente, in una sorta di Bildungsroman della protagonista. Il passato con la madre, due nonne e un padre che era stato nelle SS e cantava ancora le canzoni inneggianti al Führer, in un paesino dall’atmosfera claustrofobica e oppressiva tanto quanto l’intera Romania di Ceauşescu che fa da sfondo alla narrazione principale del presente- l’amicizia di quattro studenti universitari, tre ragazzi e la scrittrice. C’era un’altra amica, Lola, e il libro si apre con la sua morte: Lola si suicida impiccandosi nell’armadio della stanza che condivide con altre tre ragazze. La morte come una via d’uscita da un paese senza libertà, in alternativa alla follia, oppure alla fuga.

    I quattro amici parlano spesso della possibilità di fuggire, tutti parlano di gente che è fuggita, di chi ce l’ha fatta, di chi è morto cercando di fuggire. Ma loro quattro sono giovani e hanno la forza dell’ideale che li sostiene: “Non volevamo abbandonare il Paese….Se il giusto dovesse andarsene, tutti gli altri potrebbero rimanere in paese”. Anche se verrà poi anche per loro il momento in cui devono lasciare il paese- prima però c’è la laurea, c’è il lavoro, ci sono quelle lettere in cui devono usare un linguaggio in codice per evitare la censura (“Per l’interrogatorio una frase con le forbicine per unghie, disse Kurt, per la perquisizione una frase con scarpe, per il pedinamento una frase raffreddata. Dopo il titolo sempre il punto esclamativo, per una minaccia di morte solo una virgola”), ci sono gli estenuanti interrogatori del capitano Pjele che ha un cane con il suo stesso nome, c’è il licenziamento (“Quando perdemmo il lavoro, ci accorgemmo che vivere senza questa sofferenza sicura era peggio che vivere sotto la sua costrizione”), la richiesta del passaporto. E ancora minacce di morte e pedinamenti persino quando tre di loro sono ormai in Germania. E ancora morte- la morte simboleggiata dalle prugne verdi- simulata dietro incidenti mortali. O suicidi, proprio come era avvenuto a Lola.

     “Il paese delle prugne verdi” sarebbe un libro nerissimo e disperato se non fosse per lo stile scelto da Herta Müller, per l’uso della metafora che cela le immagini più crude e attenua la realtà, per la poesia che affiora in ogni pagina e si annuncia nei versi di Gellu Naum in apertura, per anticipare il tema del libro: Ognuno aveva un amico in ogni pezzetto di nuvola/ così è  infatti con gli amici dove il mondo è pieno di terrore...

Un libro necessario, per tutti noi che siamo convinti di vivere in un paese libero.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


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