lunedì 2 gennaio 2017

Simona Vinci, “Brother and sister” ed. 2004

                                                        Casa Nostra. Qui Italia
   il libro ritrovato

Simona Vinci, “Brother and sister”
 Ed. Einaudi, pagg.111, Euro 8,5


    Ancora il mondo dell’infanzia, o dell’adolescenza sulla soglia dell’infanzia, nel nuovo libro di Simona Vinci, un racconto lungo che sarebbe dovuto essere un dramma per la radio. E del dramma “Brother and sister” mantiene la struttura scarna, lo scenario essenziale, il dialogo, l’unità di tempo e di luogo. Tutto si svolge tra l’interno di una casa e un bosco, in una notte, l’ultima che i tre fratelli, la diciassettenne Cate, il quattordicenne Matt e il piccolo Billo passeranno insieme. E’ una notte di luna piena, un paese sugli Apennini, Bologna in lontananza. Zoom sull’interno, una casa con poche cose, la televisione, una cassettiera, un grembiule che pende da un gancio. Tutto lascia intendere un’assenza- i fratelli accennano alla mamma, e poi cade il silenzio; se Billo piange, “adesso” tocca a Cate farlo smettere. L’intero quadro si configura come una delle favole che si raccontano ai bambini, in cui c’è sempre una mamma che muore, solo che nella realtà del mondo moderno la matrigna è sostituita dall’assistente sociale, il pericolo è quello dell’essere internati in un Istituto e finire con l’essere separati. E’ la disgregazione del nucleo famigliare, lo strappo, la solitudine. E’ per scongiurare la paura di quello che li aspetta che Matt chiede alla sorella di raccontare una fiaba e la fiaba è il calco della loro storia, una favola che prende dalla tradizione gli elementi della fuga nel bosco, del fratellino che viene trasformato in un capriolo, del re che sposa la fanciulla.
La favola di Cate si interrompe di continuo per fare posto alla realtà della storia che loro stanno vivendo- escono fuori i ricordi, la nascita di Billo, la morte del padre, la depressione della madre. E affiorano  anche altri pensieri e sentimenti più torbidi, quelli che balenano nella mente senza che si riescano a soffocare, che si esprimono con parole spezzate perché fanno paura- l’attrazione, inevitabile ma sentita come colpevole, tra fratello e sorella, la domanda “si può fare qualcosa per trattenere le persone?”, l’accorata constatazione “non ci voleva bene”. Ed è della mamma che si parla, del modo come se n’è andata, e poi c’è quella domanda, “gli hai detto che siamo stati noi?”, che si spalanca su un buio di possibilità.
Come nella favola di Grimm, anche qui il bosco ha una valenza duplice: è una possibilità di fuga, un sollievo temporaneo dall’atmosfera chiusa dei ricordi, ma è pur sempre buio, con cespugli che graffiano, con rumori che non si riescono ad identificare. E la sortita dei tre fratelli nel bosco finirà con una corsa precipitosa per rinchiudersi di nuovo nella sicurezza della casa- sono troppo giovani per affrontare il mondo da soli. Una telefonata annuncia l’arrivo di un assistente sociale (a lui il ruolo di salvatore come quello del re?) e dal bosco esce, per unirsi a loro, non una bestia feroce ma un piccolo compagno down di Billo: a lui la corona argentata di cartone sulla testa, il re della solitudine per ricordarci che non abbiamo il monopolio dell’infelicità.

la recensione è stata pubblicata su www.lettera.it




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