Voci da mondi diversi. America Latina
noir
il libro ritrovato
Diego Paszkowski, “Tesi su un omicidio”
Ed. Fanucci, trad. Amanda
Salvioni, pagg. 172, Euro 12,00
Sorprendente, intelligente e originale, il primo romanzo
dello scrittore argentino Diego Paszkowski, pubblicato dalla casa editrice
Fanucci. Un titolo, “Tesi su un omicidio”, che va inteso alla lettera, perché
l’assassinio che verrà commesso da Paul Besançon, laureato in Giurisprudenza,
servirà proprio come materiale per la tesi che deve scrivere alla fine del
corso in Diritto Penale tenuto dal famoso professore Roberto Bermúdez a Buenos
Aires. Sono loro i due personaggi principali del romanzo: il giovane dallo
sguardo di ghiaccio, figlio di un diplomatico francese, e il docente che è
stato giudice, conosciuto da tutti perché appare anche in televisione per parlare
della giustizia. E, in capitoli alterni, si avvicendano le loro due voci, o
meglio, di Bermúdez è veramente la voce che ascoltiamo in lunghi monologhi
interiori, voce rauca di ubriaco che ci racconta la storia della sua carriera,
l’amore per la moglie che lo ha lasciato, e poi osserva i suoi studenti,
riflette. Quella di Paul Besançon è, invece, una sorta di flusso di coscienza
in terza persona, sono i suoi pensieri- a volte mischiati a quelli di suo padre
che non sa come trattare questo figlio che non capisce e che, da Parigi, manda
a studiare in Argentina, perché spera che il suo amico Bermúdez gli insegni ad
essere un uomo giusto.
Ecco, la giustizia- il tema della tesi di Paul. La
giustizia è cieca, secondo Paul, la giustizia non esiste, è il caso a dominare
il mondo, e per dimostrarlo lui ucciderà una ragazza che non conosce ma che
assomiglia all’attrice Juliette Lewis di cui ha visto tutti i film e di cui
conosce ogni gesto e ogni sguardo. Sarà un delitto perfetto: ci saranno tutti
gli estremi perché l’assassino debba essere condannato con il massimo della
pena e però non sarà mai possibile accusarlo perché non ci saranno prove. E
sono pagine allucinanti e allucinate, quelle dei pensieri di Paul, figura
dostojevskiana che ragiona come Raskolnikov,
con l’avvistamento della vittima,
le domande al professore con cui si accerta dei dettagli legali rivelandogli
nello stesso tempo le sue intenzioni, la preparazione del delitto che deve
avvenire al termine del corso, proprio lì, di fronte alla finestra dell’aula.
Se Paul vuole dimostrare a Bermúdez che la giustizia è impossibile, Bermúdez,
d’altro canto, si prefigge il contrario, perché a lui, che si è attaccato alla
bottiglia dopo che la moglie lo ha abbandonato, resta solo da credere nella
giustizia e nel suo ruolo di insegnante. Se gli è impossibile accusare Paul che
lui sa essere colpevole, lo ucciderà perché non vada impunito- no, se lo
uccidesse non imparerebbe niente, e allora farà in modo che la giustizia
trionfi anche a costo di tradire se stessa.
Ma questo è il grandioso paradosso
finale: il piano di Bermúdez per incastrare Paul prevede ossessionarlo con le
sue stesse ossessioni, costruire prove false e comprarsi delle testimonianze-
per sbatterlo in prigione dove ci penserà qualcun altro a finirlo. Ma non è
questa la prova che ha ragione Paul? Che la giustizia è cieca anche quando
imprigiona con la menzogna? Serrato e coinvolgente in una logica senza
speranza, il romanzo di Paszkowski ha vinto nel 1998 il premio i protagonisti dell'adattamento cinematografico |
la recensione è stata pubblicata sulla rivista "Stilos"
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