vento del Nord
premio Nobel
il libro ritrovato
Knut Hamsun, “Un vagabondo suona in sordina”
Ed. Iperborea, trad. Fulvio
Ferrari, pagg. 207, Euro 13,00
A me pare che non sia più la
stessa fino d’allora, ha risposto. Deve continuare a vivere, naturalmente, ma
forse non ha più ritrovato l’armonia. Io queste cose non le capisco, ma è
l’armonia che conta, secondo me. Certo, può magiare e ridere e dormire, e
tuttavia…
Knut Hamsun (1859-1952) è uno di
quegli scrittori la cui fama è in un certo qual modo oscurata dalla sua aperta
adesione all’ideologia nazista ed è un vero peccato che il lettore si avvicini
alle sue opere con qualche reticenza e pregiudizio, perché fin dalle prime
pagine di ogni suo romanzo appare chiaro al di fuori di ogni dubbio che il
premio Nobel a lui conferito nel 1920 non sia che una conferma del suo merito
(a differenza di altre assegnazioni molto discusse e a volte addirittura
inspiegabili).
Ne “Il vagabondo suona in sordina” (prima
data di pubblicazione 1909) ritorna Knut Pedersen, la voce narrante di “Sotto
la stella d’autunno”, sulla soglia della mezza età, ingrigito, con la barba e
un aspetto dimesso. “Un vagabondo suona in sordina quando raggiunge il mezzo
secolo di vita. Allora si mette a suonare in sordina”, dice il protagonista per
spiegare il suo ritorno alla fattoria dove aveva trascorso alcuni mesi in
passato.
Perché fa di tutto per passare inosservato, per guardare senza essere
visto o riconosciuto, come qualcuno che tenga gli occhi bassi per celare un
lampo di giovinezza e di desiderio: anni prima Knut Pedersen aveva amato la
bella Lovise, moglie del capitano Falkenberg, il padrone della fattoria dove
ora Knut cerca lavoro stagionale. E adesso assiste allo svolgersi di un dramma
domestico: c’è un’atmosfera godereccia alla fattoria che trabocca di ospiti
allegri che bevono più di quanto sia consentito, Falkenberg sembra intendersela
con un’altra donna mentre sua moglie Lovise- per ripicca, per rabbia, per
gelosia, per solitudine- si concede ad un giovane corteggiatore. Scapperà con
lui in città per ritornare poi a casa, ancora più infelice (“ha perso ogni
armonia” dice di lei un altro fattore), con sensi di colpa e colpevolizzata dal
marito. C’è anche un figlio in arrivo. Nel momento sbagliato e del padre
sbagliato.
Non può che finire tragicamente la storia
di una donna adultera all’inizio del ‘900- non diversamente da Emma Bovary o da
Anna Karenina. Possiamo propendere per una spiegazione o per un’altra di quanto
accade, ma non ne siamo certi, come non siamo mai certi di nulla in tutta la
narrazione che è un canto polifonico in sordina- un insieme di voci sussurrate
che riferiscono, commentano, osservano, fanno domande e rispondono, elaborano
supposizioni. Al centro c’è lui, il vagabondo che non dimentica il passato,
intorno ci sono la cameriera che spia la padrona, gli altri servitori, il
fattore, ognuno con la sua parte di verità, con frammenti di discorsi origliati
o sentiti. Senza segni di interpunzione o virgolettatura, creando l’impressione
di un flusso di coscienza in anticipo su quello di Joyce o della Woolf. E,
sullo sfondo, la grandiosa e solitaria natura della Norvegia, specchio della
solitudine dei personaggi. Con una vena crepuscolare di malinconia per il tempo
che passa.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
Nessun commento:
Posta un commento