sabato 15 ottobre 2016

Olav Hergel, “Il fuggitivo” ed.2010

                                                              vento del Nord
            il libro ritrovato


Olav Hergel, “Il fuggitivo”
Ed. Iperborea, trad. Eva Kampmann, pagg. 398, Euro 17,50

Titolo originale: Flygtningen

    Quando una nazione perde il rispetto per l’individuo e non si lascia più turbare dalla sofferenza, dal lutto e dal dolore che la vita infligge al singolo, nel suo orizzonte si profila il totalitarismo. E il fatto che nel vostro caso si tratti di un totalitarismo fondato su un ampio sostegno popolare e democratico, non lo rende meno raccapricciante.



    Iraq 2005.
L’antefatto: il padre di Nazir Osmani, nel tentativo di frenare la violenza dei soldati americani nei confronti di un ragazzo iracheno, cade a terra ferendosi alla testa. Soldati danesi fermano la macchina che lo trasporta in ospedale, il ritardo è fatale: quando arrivano a destinazione il signor Osmani è già morto.
I fatti: la giornalista danese Rikke Lyngdal viene rapita da una cellula terroristica di cui fa parte Nazir Osmani. Dopo la mancata risposta alla richiesta che il governo danese ritiri le sue truppe dall’Iraq, a Rikke viene mozzata la falange di un dito: la telecamera che la riprende fa arrivare in diretta le immagini sugli schermi di tutto il mondo. In primo piano, accanto a Rikke, la testa del terrorista. Cappuccio nero, naso, bocca e mento coperti. Solo gli occhi, di uno stupefacente azzurro gelido, sono in vista.

Quello che avviene in seguito- la liberazione e la fuga di Rikke- non è la conseguenza della ‘sindrome di Stoccolma’, è dovuto piuttosto al risveglio della coscienza di Nazir che, tra il dovere di vendicare il padre e quello di rispettare la vita umana di un’innocente, sceglie quest’ultimo. Se obbedisse agli ordini uccidendo Rikke, Nazir non potrebbe vivere con il senso di colpa- questo non è quello che suo padre avrebbe voluto, non è quello che gli ha insegnato. E però Rikke deve promettere a Nazir di mentire, con tutti: non è stato lui a toglierle le manette, è lei che si è liberata da sola, dopo averlo colpito approfittando che si fosse addormentato. Questa dovrà essere la versione dei fatti, quella che Nazir darà ai compagni e quella che Rikke racconterà in televisione. Pena la morte di Nazir in quanto traditore, naturalmente.
Nessuno dei due sarà creduto, ma Rikke diventerà un’eroina, mentre Nazir sarà costretto a fuggire da Bassora, attraverso la Turchia fino a Copenhagen, traditore per i suoi e per gli altri? Terrorista o eroe?
Bassora
     Olav Hergel, giornalista e scrittore danese, non ha scelto solo una trama di grande attualità e di interesse generale per il suo romanzo, non si è limitato a portare alla ribalta lo spinoso problema della presenza delle truppe americane e dei loro alleati nell’Iraq liberato da Saddam Hussein e di quanto sia o non sia giusto ‘importare’ un modello di democrazia, non si limita a farci stare con il fiato in sospeso seguendo la fuga di Nazir attraverso l’Europa e poi in Danimarca- e qui è costretto a fuggire non più soltanto dalla comprensibile vendetta irachena ma anche dal lungo braccio degli Stati Uniti che, a quattro anni di distanza dal crollo delle Torri Gemelle, hanno sempre bisogno di afferrare un terrorista da mettere alla gogna. Olav Hergel mescola i generi con abilità consumata: il thriller politico sulla guerra in Iraq (prima di partire per Bassora Rikke era favorevole alla guerra, poi, sul posto, le sue convinzioni incominciano a vacillare, proprio come sta avvenendo ai soldati danesi che ha intervistato) si affianca al legal thriller quando si tratta di escogitare la difesa di Rikke, accusata di menzogna e di tradimento della patria, ed è pure un thriller dell’anima, perché entrambi i protagonisti (e, insieme a loro, altri personaggi che saranno coinvolti nella vicenda) si sentono lacerati tra una giustizia assoluta e una giustizia relativa, tra scelte diverse di cui devono soppesare le conseguenze: può una scelta giusta causare la morte di qualcuno?

Olav Hergel è un giornalista e non ci permette di dimenticarlo. Prima di tutto perché ‘costruisce’ il suo libro con una tecnica perfetta- introduzione, corpo centrale, sviluppo e conclusione. Poi perché sa come mantenere desta l’attenzione del lettore. E infine perché dipinge un quadro del mondo dei giornali come solo qualcuno che lo conosce dall’interno può fare. E’ un quadro a tinte forti, che non risparmia nessuno, né i direttori (che hanno sempre in mente l’ipotetico lettore medio identificato come ‘Jacob’), né i giornalisti pennivendoli che obbediscono agli ordini di scrivere quello che il lettore vuole, né la massa di lettori acritici che si lascia imbeccare. E sulle pagine dei giornali molto spesso appaiono articoli futili per evitare temi scottanti in una società che ha uno dei più alti livelli di vita in Europa e che non è disposta a rinunciare ad una fettina di benessere per la causa degli immigrati e dei profughi. I giornalisti veri- quelli che ritengono sia loro compito scrivere la verità, per quanto dura possa essere, quelli che sono gli eroi della parola- sferzano la Danimarca che ha dimenticato i valori etici dell’epoca in cui seimila ebrei erano stati traghettati in salvo in Svezia, causano scalpore, danno scandalo, si schierano con i deboli. Come Rikke Lyngdal.
 “C’è del marcio in Danimarca”- come dice Amleto- ma qualcosa si può ancora salvare, ci sono ancora politici integri, pastori della chiesa che aiutano chi bussa alla loro porta (pur appartenendo ad un partito xenofobo), avvocati che perdono il posto per difendere gli indifendibili.
     Quando un libro di intrattenimento è capace di toccare corde profonde, sollecitando la presa di coscienza dei lettori, quando un romanzo che si presenta nella veste del thriller non ha timore di parlare di etica, quando tratta di problemi del paese in cui si svolge la trama ma, implicitamente, allarga la tematica a tutti i paesi del mondo dell’affluenza- quello è decisamente un bel libro. Come “Il fuggitivo” di Olav Hergel.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


    

     

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