vento del Nord
il libro ritrovato
Olav Hergel, “Il fuggitivo”
Ed. Iperborea, trad. Eva
Kampmann, pagg. 398, Euro 17,50
Titolo originale: Flygtningen
Quando una nazione perde il rispetto per
l’individuo e non si lascia più turbare dalla sofferenza, dal lutto e dal
dolore che la vita infligge al singolo, nel suo orizzonte si profila il
totalitarismo. E il fatto che nel vostro caso si tratti di un totalitarismo
fondato su un ampio sostegno popolare e democratico, non lo rende meno
raccapricciante.
Iraq 2005.
L’antefatto: il padre di Nazir
Osmani, nel tentativo di frenare la violenza dei soldati americani nei
confronti di un ragazzo iracheno, cade a terra ferendosi alla testa. Soldati
danesi fermano la macchina che lo trasporta in ospedale, il ritardo è fatale:
quando arrivano a destinazione il signor Osmani è già morto.
I fatti: la giornalista danese
Rikke Lyngdal viene rapita da una cellula terroristica di cui fa parte Nazir
Osmani. Dopo la mancata risposta alla richiesta che il governo danese ritiri le
sue truppe dall’Iraq, a Rikke viene mozzata la falange di un dito: la
telecamera che la riprende fa arrivare in diretta le immagini sugli schermi di
tutto il mondo. In primo piano, accanto a Rikke, la testa del terrorista.
Cappuccio nero, naso, bocca e mento coperti. Solo gli occhi, di uno
stupefacente azzurro gelido, sono in vista.
Quello che avviene in seguito- la
liberazione e la fuga di Rikke- non è la conseguenza della ‘sindrome di Stoccolma’,
è dovuto piuttosto al risveglio della coscienza di Nazir che, tra il dovere di
vendicare il padre e quello di rispettare la vita umana di un’innocente,
sceglie quest’ultimo. Se obbedisse agli ordini uccidendo Rikke, Nazir non
potrebbe vivere con il senso di colpa- questo non è quello che suo padre
avrebbe voluto, non è quello che gli ha insegnato. E però Rikke deve promettere
a Nazir di mentire, con tutti: non è stato lui a toglierle le manette, è lei
che si è liberata da sola, dopo averlo colpito approfittando che si fosse
addormentato. Questa dovrà essere la versione dei fatti, quella che Nazir darà
ai compagni e quella che Rikke racconterà in televisione. Pena la morte di
Nazir in quanto traditore, naturalmente.
Nessuno dei due sarà creduto, ma
Rikke diventerà un’eroina, mentre Nazir sarà costretto a fuggire da Bassora,
attraverso la Turchia
fino a Copenhagen, traditore per i suoi e per gli altri? Terrorista o eroe?
Bassora |
Olav Hergel, giornalista e scrittore
danese, non ha scelto solo una trama di grande attualità e di interesse
generale per il suo romanzo, non si è limitato a portare alla ribalta lo
spinoso problema della presenza delle truppe americane e dei loro alleati nell’Iraq liberato da Saddam Hussein e di quanto sia o non sia giusto ‘importare’ un
modello di democrazia, non si limita a farci stare con il fiato in sospeso
seguendo la fuga di Nazir attraverso l’Europa e poi in Danimarca- e qui è
costretto a fuggire non più soltanto dalla comprensibile vendetta irachena ma
anche dal lungo braccio degli Stati Uniti che, a quattro anni di distanza dal
crollo delle Torri Gemelle, hanno sempre bisogno di afferrare un terrorista da
mettere alla gogna. Olav Hergel mescola i generi con abilità consumata: il
thriller politico sulla guerra in Iraq (prima di partire per Bassora Rikke era
favorevole alla guerra, poi, sul posto, le sue convinzioni incominciano a
vacillare, proprio come sta avvenendo ai soldati danesi che ha intervistato) si
affianca al legal thriller quando si tratta di escogitare la difesa di Rikke,
accusata di menzogna e di tradimento della patria, ed è pure un thriller
dell’anima, perché entrambi i protagonisti (e, insieme a loro, altri personaggi
che saranno coinvolti nella vicenda) si sentono lacerati tra una giustizia
assoluta e una giustizia relativa, tra scelte diverse di cui devono soppesare
le conseguenze: può una scelta giusta causare la morte di qualcuno?
Olav Hergel è un giornalista e
non ci permette di dimenticarlo. Prima di tutto perché ‘costruisce’ il suo
libro con una tecnica perfetta- introduzione, corpo centrale, sviluppo e
conclusione. Poi perché sa come mantenere desta l’attenzione del lettore. E
infine perché dipinge un quadro del mondo dei giornali come solo qualcuno che
lo conosce dall’interno può fare. E’ un quadro a tinte forti, che non risparmia
nessuno, né i direttori (che hanno sempre in mente l’ipotetico lettore medio
identificato come ‘Jacob’), né i giornalisti pennivendoli che obbediscono agli
ordini di scrivere quello che il lettore vuole, né la massa di lettori acritici
che si lascia imbeccare. E sulle pagine dei giornali molto spesso appaiono
articoli futili per evitare temi scottanti in una società che ha uno dei più
alti livelli di vita in Europa e che non è disposta a rinunciare ad una fettina
di benessere per la causa degli immigrati e dei profughi. I giornalisti veri-
quelli che ritengono sia loro compito scrivere la verità, per quanto dura possa
essere, quelli che sono gli eroi della parola- sferzano la Danimarca che ha
dimenticato i valori etici dell’epoca in cui seimila ebrei erano stati
traghettati in salvo in Svezia, causano scalpore, danno scandalo, si schierano
con i deboli. Come Rikke Lyngdal.
“C’è del marcio in Danimarca”- come dice
Amleto- ma qualcosa si può ancora salvare, ci sono ancora politici integri,
pastori della chiesa che aiutano chi bussa alla loro porta (pur appartenendo ad
un partito xenofobo), avvocati che perdono il posto per difendere gli
indifendibili.
Quando un libro di intrattenimento è
capace di toccare corde profonde, sollecitando la presa di coscienza dei
lettori, quando un romanzo che si presenta nella veste del thriller non ha
timore di parlare di etica, quando tratta di problemi del paese in cui si
svolge la trama ma, implicitamente, allarga la tematica a tutti i paesi del
mondo dell’affluenza- quello è decisamente un bel libro. Come “Il fuggitivo” di
Olav Hergel.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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