cento sfumature di giallo
FRESCO DI LETTURA
Margery Allingham, “Il premio del traditore”
Ed. Bollati Boringhieri, trad. M.
Morpurgo, pagg. 270, Euro 14,03
Siamo abituati a considerare Agatha
Christie come la maestra indiscussa del giallo. Eppure c’è un’altra scrittrice,
di una quindicina di anni più giovane di lei, che è altrettanto famosa in Gran
Bretagna per lo stesso genere di libri, e il suo protagonista, Albert Campion,
gode di una notorietà pari a quella di Poirot. Si tratta di Margery Allingham,
nata a Londra, figlia di madre e padre scrittori, autrice di un numero
prodigioso di romanzi- cosa tanto più stupefacente in quanto gran parte di questi
furono scritti in anni molto bui, durante la seconda guerra mondiale.
La trama del romanzo “Il premio del traditore”, scritto nel 1940 e appena
pubblicato dalla casa editrice Bollati Boringhieri, ha proprio a che fare con
la guerra. Il personaggio principale è Albert Campion, il detective gentleman
(indossa abiti fatti su misura da una nota sartoria con il suo nome ricamato
all’interno) che appare in una serie che è stata anche adattata per la
televisione dalla BBC. Campion si
risveglia in un letto d’ospedale, all’inizio del romanzo. E non ricorda nulla.
Né che cosa gli sia successo e tanto meno il suo nome. Sente parlare nel
corridoio. Sente dire di un poliziotto ucciso: lui ha ucciso un poliziotto?
Decide di scappare. Ma come, se ha addosso solo il camice dell’ospedale? Anche
se la sua memoria è tabula rasa, c’è un’altra memoria attitudinaria che
funziona ancora benissimo, come si vede nell’inventiva e la prontezza con cui
riesce ad uscire, a rubare (almeno, lui pensa di averla rubata) una automobile
e dirigersi fuori città.
Come Albert Campion venga raggiunto da
amici che lo conducono proprio dove doveva andare- lo leggerete voi perché il
libro è ricco di sorprese e suspense, avvolto nella nebbia dell’amnesia di
Campion. Il quale cerca di afferrare pezzetti della realtà senza sapere affatto
se la sua ricostruzione del puzzle sia giusta o gli incastri siano casuali. Ad
esempio: la ragazza che è venuta in suo soccorso, che è così amabile e che si
chiama Amanda- è sua moglie? Viene fuori che è la sua fidanzata ma che intende
lasciarlo. Sembra anche che sappia un sacco di cose su di lui e su quello che
dovrebbe fare. Ecco: che cosa deve fare Albert Campion? Anche se non ricorda,
sente che c’è una scadenza di vitale importanza, qualcosa che deve fare entro
una certa data- il 15, forse, visto che questo numero pare riapparire in
parecchie occasioni?- altrimenti le conseguenze potrebbero essere
catastrofiche. In più c’è la faccenda dell’uomo che viaggiava sull’automobile
insieme a Campion e Amanda, la sera della sua fuga dall’ospedale, che è stato
ritrovato morto, ucciso subito dopo che lo avevano lasciato all’ingresso della
sua casa.
Non aspettatevi i ritmi vertiginosi dei
thriller mozzafiato dei nostri tempi. Il romanzo della Allingham gioca con
bravura eccezionale sul far procedere l’azione all’insaputa del protagonista
che avanza alla cieca, basandosi sull’intuito, senza mai sapere chi egli
conosca delle persone che incontra e da chi debba guardarsi. E per fortuna ha a
fianco un personaggio che è un mix del fedele maggiordomo e del ‘doppio’ del
detective e che ci ricorda (come tanti altri dettagli) i romanzi di Dickens.
Della trama non posso dire altro, se non che, per quanto improbabile sia
sembrata all’epoca, si scoprì in seguito che nelle alte sfere si era pensato
proprio a qualcosa del genere, anche se nulla era stato fatto. C’è un’altra
cosa che, però, vorrei sottolineare, perché mette in mostra la sottigliezza
psicologica della Allingham.
L’amnesia di Campion, per quanto disastrosa, ha un
risvolto positivo. Lui non sa più chi è e si comporta in maniera diversa-
glielo rivelano gli sguardi sorpresi di Amanda. E’ come se, privato della
corazza del suo ‘io’ ufficiale, Albert potesse portare alla luce un altro ‘io’
più tenero, dalla sensibilità insospettata.
M. Allingham nel 1940 |
Un classico da riscoprire.
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