Voci da mondi diversi. America Latina
il libro ritrovato
Heloneida Studart, “Francobollo d’addio”
Ed. Marcos y Marcos, trad. Amina
Di Munno, pagg. 245, Euro 15,00
Titolo originale: Selo das Despedidas
“E’
facile verificare chi mente” concluse. “Dio ha posto nel corpo delle donne un
sigillo. Quando questo sigillo è intatto, esse si possono paragonare agli
angeli. Quando il sigillo si rompe fuori dal sacramento del matrimonio, il
demonio si impadronisce di loro. Jaime, chiama il dottor Porfirio. Nessuno come
il medico di famiglia può pronunciarsi sulla diagnosi.”
Ci sono dei romanzi di cui si legge la
prima frase e si sa immediatamente, senza incertezze, che si proseguirà la
lettura, che non si riuscirà a posare il libro prima di averlo terminato.
“Mariana stava per compiere quarant’anni quando le inviarono per posta,
da Fortaleza, gli scritti di una zia rimasta zitella, Maria das Graças Nogueira
de Alencar. La vecchia era appena morta, non per volontà di Dio, ma per la
propria.” Incomincia così
“Francobollo d’addio” della scrittrice brasiliana Heloneida Studart, una donna
dalla vita così interessante da poter diventare lei stessa protagonista di un
romanzo. Sono tre righe scarse in cui ci vengono presentati due personaggi, una
zia anziana che non si è mai sposata ed è morta suicida e la nipote che si avvicina
alla soglia della mezza età. La zia dal nome altisonante ha scritto qualcosa-
un diario? un romanzo?- e Mariana prima o poi lo leggerà: in questo doppio di
zia e nipote si annuncia anche una doppia storia, nel presente e nel passato. E
noi restiamo incatenati alla lettura.
“Francobollo d’addio” è una storia di
famiglia, ma soprattutto una storia di donne- povere donne che passano dalla
potestà del padre a quella del marito, oppure sono destinate a restare sotto il
giogo materno, scelte fin dalla nascita come future infermiere della genitrice
anziana. Impossibile ribellarsi- qualunque colpo di testa, qualunque
comportamento giudicato scorretto o immorale veniva punito con la reclusione in
un convento che non era altro che una prigione con crocifissi e statue della
Vergine.
Le vicende delle tre sorelle
Nogueira de Alencar nel tempo appena precedente la seconda guerra mondiale sono
raccontate come costante contrappunto a quelle di Mariana e Leonor, figlie di
Donna Mimi Nogueira de Alencar, nel presente. E restiamo turbati nel renderci
conto di quanto poco sia cambiata la società, di quali sforzi debba fare una
donna semplicemente per ‘essere’, ‘essere’ senza il connotato di ‘moglie’.
Mariana è quella che ce l’ha fatta- forse ha ereditato tutti i geni ribelli
della famiglia, a partire da quelli dell’eroina della Confederazione
dell’Ecuador, Barbara de Alencar. Perché Mariana, destinata a fare assistenza
alla madre, si era laureata in giurisprudenza, seguiva la famosa Causa di
famiglia contro la Banca
del Brasile che li aveva impoveriti, e
aveva sposato un ricco imprenditore. Intanto Vasco, il suo grande amore dei
vent’anni, era stato arrestato, torturato e gettato giù da un aereo- quindi uno
valeva l’altro, tant’è sposare l’uomo che avrebbe voluto sposare sua sorella.
Perché invece la bionda Leonor, che aveva avuto in eredità i gioielli che
spettavano di diritto alle donne belle di famiglia, si era incapricciata di un
professore universitario, fervente cattolico e nemico dei comunisti. Lo aveva
sposato, per pentirsene prestissimo- Alfredo si era rivelato un uomo gretto,
meschino, bigotto, incapace di amore, incapace di sesso. Non riesce difficile
capire come Leonor, umiliata ed esasperata, finisca per ricorrere ad una
soluzione che pare una variante brasiliana del film di Germi “Divorzio
all’italiana” con un tocco di Agata Christie.
Mentre le scene ambientate nel presente
sono alleviate da un umorismo che rende divertenti anche episodi tristemente
grotteschi, quelle del passato- che leggiamo insieme a Mariana nei quaderni
della zia- sono ben più sconvolgenti. Donna Mimi, la madre di Mariana e Leonor,
che ora passa il tempo a letto mangiando cioccolatini, amava i dolci anche
mezzo secolo prima; era la sorella maggiore, invidiosa della bellezza e della
vivacità di Melba, la più piccola delle tre. Mentre nessuno faceva caso a Maria
das Graças, la figlia di mezzo, l’intellettuale destinata a restare zitella. Ci
sono dei parallelismi sconcertanti tra presente e passato: Maria das Graças
amava di nascosto il giovane Cid che però si era lasciato tentare da Melba…Che
il matrimonio di Leonor sia una prigione è vero, però se l’è scelta lei; che
Melba, denunciata da Mimi, venga rinchiusa al Buon Pastore dopo un’umiliante
visita ginecologica, è un sopruso che ci strazia. E allora benvenuta la
vendetta di Leonor, se Melba invece- proprio Melba che ha avuto in dono
l’allegria alla nascita- muore di tisi, malattia contratta nel carcere
convento.
Anche al lettore succede come a Mariana,
che resta per ore a guardare i quaderni, dopo aver finito di leggerli. E quando
il sole batte forte, apre l’ombrellone e continua a restare lì. Anche noi
continuiamo a sentire le voci di questi personaggi- indimenticabili. E resta
aperta l’interpretazione sul perché duri il matrimonio di Mariana,: “Ora puoi
chiedere il divorzio. Sei più ricca di me.”, le dice il marito. “Non voglio
divorziare”, risponde lei.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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