Voci da mondi diversi. Area germanica
biografia
il libro ritrovato
Jürgen
Schreiber, “La ragazza che vendicò Che Guevara. Storia di Monika Ertl”
Ed.
Nutrimenti, trad. Vincenzo Gallico e Fabio Lucaferri, pagg. 392, Euro 19,50
Titolo
originale: Sie starb wie Che Guevara. Die
Geschichte der Monika Ertl.
Il 9 ottobre 1967, quasi un anno dopo aver
portato la guerriglia in Bolivia, Che Guevara veniva barbaramente ucciso a La
Higuera.
Il 9 settembre 1969, in seguito ad una
delazione che rivelava il suo nascondiglio in una casa di La Paz, Inti Peredo,
uno dei cinque uomini del Che scampati all’attacco del ’67, fu torturato e
ammazzato.
Il primo aprile 1971 una giovane
bavarese, Monika Ertl, entrò nella sede del consolato boliviano di Amburgo con
il pretesto di chiedere informazioni sulla modalità di rilascio del visto
turistico per la Bolivia e sparò al console Roberto “Toto” Quintanilla, l’ex
colonnello dei servizi segreti boliviani responsabile della morte del Che e di
Peredo (oltre a quella di altri, nonché di crudeli sevizie e torture), l’uomo che
aveva avuto la spudoratezza di farsi fotografare accanto alla bara di Inti
Peredo, con la cenere della sigaretta che sta per cadere- ultimo sfregio- sulla
testa del cadavere. Era stato anche un ardire stupido, mettersi in mostra in
quella maniera, firmando la morte del guerrillero e la propria da lì a due
anni.
Quintanilla |
Il libro “La ragazza che vendicò Che
Guevara” del giornalista investigativo tedesco Jürgen Schreiber, corredato di foto su cui i nostri occhi
ritornano spesso, cerca di ricostruire la storia di Monika Ertl per capire come
sia arrivata a intraprendere la strada della lotta armata, come abbia deciso di
assumere il ruolo di angelo vendicatore. Che Monika avesse un viso d’angelo non
significa nulla- e la cronaca nera dei nostri giorni ce lo insegna. E tuttavia,
più leggiamo di lei, della sua famiglia, del suo vissuto, più ci riesce
difficile sottrarci al sentimento di simpatia che proviamo nei suoi confronti.
Come avviene allo stesso Jürgen
Schreiber, che non ha problemi a confessarlo. Perché Monika Ertl è un’assassina
che uccide un assassino. Non ci si deve fare giustizia da sé, ma ci sono
attenuanti? Monika, nata a Monaco di Baviera nel 1937, era cresciuta accanto a
persone che non solo non scontavano le loro colpe, ma neppure si riconoscevano
colpevoli in grado maggiore o minore. Suo padre Hans era stato un famoso
scalatore e, dopo, era diventato il ‘fotografo’ di Hitler, senza mai prendere
una posizione davanti alle atrocità che fissava sulla pellicola.
In Bolivia,
dove aveva trascinato la famiglia in seguito all’offesa di non aver ricevuto un
premio che agognava, Hans Ertl aveva aiutato Klaus Barbie, l’ex capo della
Gestapo noto come “il macellaio di Lione”, e ne era diventato amico. Quanto
aveva influito, sulle scelte di Monika, il passato nazista del padre?
Non è un romanzo, ma si legge come un romanzo, il libro di Jürgen Schreiber. Perché, bene o male,
Monika Ertl è un’eroina idealista e sognatrice, e Schreiber alterna abilmente
fatti e indagine psicologica, la vita di Monika e i grandi eventi che hanno
visto protagonista l’America Latina, sostituendo Monika al centro della scena
con Che Guevara o Inti Peredo, per capire il fascino che esercitarono su di lei,
e poi, ancora, ricostruendo minuziosamente i fatti di quel primo aprile 1971.
Una donna aveva telefonato al consolato cinque giorni giorno prima. Una donna
si era presentata quel giorno, scarpe con il tacco, borsetta blu di facile
apertura per estrarre la pistola, occhiali dalla montatura a farfalla, capelli
corti. Dopo aver sparato- tre colpi- a Quintanilla ed essersi trovata davanti
la moglie di questi, era fuggita lasciando però sul posto occhiali (non le
servivano), parrucca, borsetta e pistola. Possibile un tale errore? Perché la
pistola era stata acquistata da Giangiacomo Feltrinelli.
Ed ecco che appare un altro personaggio
sulla scena, a rendere la vicenda ancora più intrigante, come fosse un thriller
o un noir.
Il corpo di Monika non fu mai restituito alla famiglia, non fu mai
sepolto sotto la pietra tombale che suo padre portò giù dal monte Chacaltaya
(più di 5000 metri d’altezza) e su cui fece incidere il suo nome. Quello vero e
non il nome di battaglia: Imilla, ragazza india. Per prendere l’identità degli
oppressi e non degli oppressori.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
Nessun commento:
Posta un commento