lunedì 18 aprile 2016

Julian Fellowes, "Snob" ed. 2005

                                    Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda         
                                                    romanzo 'romanzo'
                                                    il libro ritrovato




INTERVISTA A JULIAN FELLOWES, autore di “Snob”

     Destino singolare, quello della parola snob e certamente William Thackeray, che le diede un valore letterario ne “Il libro degli snob”, non poteva prevedere che sarebbe stata adottata da tutte le lingue europee. Nel gergo studentesco di Cambridge snob indicava soltanto chi cerca di emulare i comportamenti degli aristocratici disprezzando tutto quello che ha la parvenza di essere inferiore, poi il significato si estese ad un generico atteggiamento di sufficienza  verso le classi basse. C’è un poco di entrambi i significati nel libro “Snob” (Ed. Neri Pozza, pagg. 349, Euro 16,50), opera prima di Julian Fellowes, noto come lo sceneggiatore che ha vinto l’Oscar per “Gosford Park”, attore coprotagonista nei film “Il danno” e “Shadowlands”.
Perché è snob Edith che, sospinta anche dalle ambizioni materne, sposa Lord Charles Broughton, senza dare importanza al fatto che lui sia così noioso e sessualmente tiepido- la prospettiva di abitare in una magione che apre le porte ai visitatori, di essere presentata a corte, di fare la nobile castellana che distribuisce sorrisi, è splendida e irresistibile. Ma è snob anche la formidabile Lady Uckfield che deve fare buon viso a cattiva sorte davanti alla scelta del figlio, o tutta la cerchia dei loro amici altolocati che sembrano parlare in codice, usando sciocchi nomignoli a sottolineare l’intimità con i loro pari, obbedendo a norme di comportamento che escludono implacabilmente chiunque non sia dei loro. Edith viene accettata anche se con diffidenza, perché è bellissima e Charles la adora. Ma, quando Edith si stanca della campagna, della caccia, dei comitati di beneficenza, dei suoceri, della compagnia stolidamente fedele del marito, e segue a Londra un fascinoso attore, immediatamente tutte le porte si chiudono dietro di lei. La storia è raccontata da un narratore esterno, un attore amico di Edith che diventa poi il confidente di Charles, in un ruolo di osservatore imparziale che ricorda quello di Nick Carraway de “Il grande Gatsby”. A lui, che, per famiglia ed educazione, si muove con disinvoltura in entrambi gli ambienti, il compito di fare da tramite tra i due sposi- Edith che si accorgerà di aver cambiato in peggio una volta che si attenua la furia sessuale, e Charles che, con commovente consapevolezza dei propri limiti, è pronto a riprendersela indietro. Non potevano mancare, in un romanzo di ambientazione così britannica, i riferimenti ai grandi scrittori del passato, da Thackeray a Jane Austen, da Huxley a Waugh, nella creazione di alcuni personaggi (Edith ha qualcosa di Becky Sharp, Charles ricorda il protagonista di “Una manciata di polvere”, la madre di Edith e Lady Uckfield assomigliano, in meglio, a Mrs. Bennett e a Lady Catherine in “Orgoglio e pregiudizio”), nel riadattare frasi famose, nel tono cinico e graffiante, sempre pieno di humour, di chi osserva senza approvare, ma nemmeno disapprovare- così va il mondo (britannico). Stilos ha intervistato Julian Fellowes.

Lei è un attore e uno sceneggiatore famoso: come è nato questo romanzo? L’aveva già in mente quando scriveva la sceneggiatura di “Gosford Park”?
      Avevo scritto un abbozzo di romanzo, prima di “Gosford Park”. Poi c’è stato il successo del film e l’editore di una famosa casa editrice mi ha cercato chiedendomi se mi interessava scrivere un libro. E così ho ripreso in mano quel mio dattiloscritto, ci ho lavorato molto sopra, praticamente l’ho riscritto tutto. E’ molto diverso scrivere un libro dallo scrivere un copione. Quando scrivi un copione, scrivi per il produttore, per il regista, poi ci sono le prove nello studio, ogni volta ti cambiano delle cose. Mi attraeva molto l’idea di scrivere un testo solo per un editore. In un libro si sente soprattutto la voce dello scrittore, in un copione questa voce è solo una parte. Mi piaceva l’idea che si sentisse la mia voce nel libro, e, dopo, è stata piacevole anche l’esperienza inaspettata del successo.


 Non possiamo fare a meno di ricordare l’ambientazione di “Gosford Park” leggendo “Snob”, anche se l’angolazione del punto di vista è del tutto differente.
      “Gosford Park” è ambientato in un periodo in cui le classi alte erano inconsapevoli della fine che si avvicinava per loro, mentre i servitori sembravano avere un sentore di questa fine. Nel film i servitori pensano a come sarà la loro vita in futuro, è come se sapessero che sette anni dopo ci sarebbe stata la guerra e il mondo non sarebbe più stato lo stesso. E allora c’è qualcosa di ironico nella sicurezza che sfoggiano gli aristocratici del piano di sopra. Nel film, ad un certo punto, Lady Sylvia dice che forse chiuderà la casa, perché è diventato troppo difficile mandarla avanti. Le classi alte si stancano di quel tipo di vita, di cercare servitori, cambiarsi d’abito per cena, si rilassano come il resto del mondo. “Snob” è sui sopravvissuti di quel mondo aristocratico. Dopo gli anni ‘60 gli aristocratici finiscono di far parte della classe governante ed escono dalla vita pubblica, la gente sa che esistono ancora solo attraverso articoli occasionali sui giornali che parlano di matrimoni o ricevimenti, gli aristocratici non fanno più politica e non hanno più una vita pubblica. Sono diventati un gruppo che doveva tenere giù la testa in un secolo che non approvava, una specie di società segreta. E “Snob” è intorno a questa società segreta che esiste ancora. Ho attinto dalla vita vera per scrivere “Snob” e sono stato anche un poco punito per averlo fatto. Mi è stato chiesto se abbia ancora degli amici- in realtà quelli che hanno creduto di riconoscersi nei personaggi dapprima se la sono presa, poi si sono sentiti lusingati nel ritrovarsi nelle pagine del libro.

E, a proposito di “Gosford Park”, non ha trovato strano, che fosse una specie di sfida per un regista americano decidere di girare quel film?
     In un certo senso sì, ma, d’altra parte, non era possibile girare quel film con un regista britannico. I britannici si sentono sempre un po’ complessati nei confronti delle classi alte. Altman provava l’interesse di un antropologo per gli aristocratici. Non voleva dimostrare niente ed io ero invitato sul set per controllare che tutto fosse giusto come doveva essere. Un regista britannico non lo avrebbe mai fatto, si sarebbe irritato, non avrebbe mai voluto mostrare di non sapere di fronte a me che sapevo, sarebbe stato difficile correggerlo. Ma un americano non era tenuto a sapere quelle cose, Altman si sforzava di essere il più accurato e il più efficace possibile. Ecco perché ha funzionato.

“Gosford Park” è ambientato negli anni ‘30 e “Snob” ai nostri tempi: l’idea è dell’immutabilità dei comportamenti dell’aristocrazia britannica che sembra essere salda come una roccia.

      Penso che gli aristocratici capiscano di dover resistere davanti ad un mondo moderno i cui valori sono lontani dai loro. C’è qualcosa di contraddittorio in una società che è per lo più selezionata per nascita e la società meritocratica moderna- non possono coesistere. Gli anni ‘60 hanno cambiato il mondo in una maniera ostile ai valori dell’aristocrazia. Adesso però ci si comincia a fare domande sul successo dei valori moderni, viviamo in un periodo caotico e pieno di incertezze, di aumento di criminalità e mancanza di sicurezza personale. Il mondo moderno, almeno nei paesi occidentali, non crede più nella selezione per nascita, “come” uno nasce ha un ruolo secondario nella selezione ma è connesso con l’aristocrazia. In Gran Bretagna dagli anni ‘60 non vengono più concessi titoli ereditari e questa è la sentenza di morte per l’aristocrazia. Ma c’è qualcosa di ammirevole nel fatto che le classi alte aderiscano ancora ai valori di un mondo più vecchio e più lento.

 Dopo tutto, come si dice nel suo libro, la Gran Bretagna ha avuto una sola rivoluzione che è durata poco tempo. Che cosa significa questo, secondo Lei, per quello che riguarda il carattere dei britannici?
     Penso che i Britannici siano molto pragmatici, in complesso a loro non piacciono l’insicurezza e la ribellione. Il punto forte dell’aristocrazia britannica è di aver accettato e cercato di sposare persone dei ceti alti con soldi o bellezza. Abbiamo sempre avuto un’ alta borghesia non titolata ed è sempre stato facile per il self-made man essere assorbito in questa alta borghesia non titolata- era una terra di mezzo in cui si riusciva ad entrare facilmente. Questa era la caratteristica dell’aristocrazia: la sua mobilità, una qualità per cui venivamo disprezzati nell’800 dal resto dell’Europa, ma che per noi ha significato che il sistema poteva durare di più.

Il suo narratore racconta la storia da un punto di vista avvantaggiato perché sembra trovarsi a suo agio con entrambi i mondi: è Lei il narratore?
       In un certo senso sì. Volevo che il narratore non avesse un’aria minacciosa. Volevo che si trovasse a suo agio con l’aristocrazia, ma che lui stesso non fosse troppo “in alto”, e infatti è un attore non di successo, non ha molti soldi. Doveva essere una specie di ponte tra i personaggi, una guida che non incutesse soggezione ai lettori. Il lettore non conosce queste persone e lui gliele deve spiegare- conduce il lettore in maniera gentile.

Il narratore sembra osservare divertito il comportamento di questi aristocratici: non approva e neppure disapprova.
     Questo è il mio atteggiamento. Alla mia età non più giovane, sono convinto che non ci sia un tipo di vita più felice delle altre. Penso che nessuno debba essere invidiato, nessun tipo di vita è una soluzione. Tutti hanno una vita complicata. Ci sono vite individuali, indipendentemente dalla classe sociale. Io non odio ma neppure venero i Broughton. Nel libro il personaggio di Lady Uckfield è quello della persona intelligente con cui il narratore entra in sintonia, perché gioca bene le sue carte, fa del suo meglio della situazione in cui si trova. Il libro, più che essere un libro su una classe sociale, è un libro sulla scelta: ognuno di noi fa una scelta e deve vivere con la scelta che ha fatto. In genere si tende ad attribuire agli altri la colpa di quanto ci accade, ma è contro la mia filosofia della vita. Questa è la parte più importante del crescere: prendersi le responsabilità delle proprie scelte.

 Forse per questo Charles è un personaggio così amabile e simpatico. Al contrario di Edith, lui tiene fede alle proprie scelte. Alla fine ci dispiace per lui, meritava di più.
     Ho creato di proposito così il personaggio di Charles, un uomo grigio, prevedibile, non molto intelligente e non interessante. Andando avanti, però, anche chi non approva l’aristocrazia sente simpatia per Charles che non cambia, non è diverso da come si è presentato, ma è Edith che viene meno al patto che ha stretto. Ho fatto in modo che il lettore simpatizzasse con chi non avrebbe simpatizzato nella vita reale.



 Proseguirà tutte le sue carriere, come attore, sceneggiatore e scrittore?
     Ci sono persone che pianificano la loro vita. La mia vita è stata strana, fino ai quarant’anni sono stato un attore di medio successo, non certamente uno di quelli che fanno fermare il traffico per strada, e poi mi si sono aperte davanti tante strade. Mi piacerebbe provarle tutte. Quando il successo arriva tardi, lo prendi meno sul serio, sai che finirà. Quando succede da giovane, ti senti un dio, ma quando arriva tardi, sai solo che sei fortunato, che stai godendoti cinque minuti al sole, ma sai anche che non durerà per sempre. Mi piace pensare che continuerò a scrivere finché sarò vecchio, penso che Hollywood mi stancherà molto prima. C’è qualcosa di inebriante nel sentire la propria voce in un libro.

recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos

i personaggi dello sceneggiato Downton Abbey



                                  

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