Voci da mondi diversi. Francia
cento sfumature di giallo
FRESCO DI LETTURA
Dominique Manotti, “Oro
nero”
Ed.
Sellerio, trad. Francesco Bruno, pagg. 410, Euro 15,00
Nell’ultima intervista che le avevo
fatto, nel 2009, Dominique Manotti,
alla mia domanda se intendesse proseguire a scrivere romanzi agganciati ad una
realtà di denuncia, aveva risposto che sì, era proprio quello che intendeva
fare, “essere lo scrittore pubblico
della sua epoca”. Ritroviamo, dunque, con enorme piacere Dominique Manotti
con il suo nuovo romanzo, “Oro nero”, pubblicato da Sellerio: sappiamo che non
ci deluderà, sappiamo che, ancora una volta, con il suo stile crudo, secco, mirato, Dominique Manotti colpirà il suo
obiettivo, ci svelerà un altro lato molto nero della nostra società.
E’
il 1973. Chi ha l’età per farlo, ricorda certamente l’anno della crisi del
petrolio, dell’oro nero, per l’appunto. Che cosa c’era dietro l’enorme rialzo del prezzo del petrolio
che mise in ginocchio gli stati che dipendevano dalla sua importazione? Siamo a
Marsiglia, il tempo del romanzo è
anteriore a quello in cui abbiamo incontrato per la prima volta il protagonista
Théodore Daquin ne “Il sentiero della speranza” e il ventisettenne Daquin, dopo un’esperienza lavorativa a Beirut,
viene mandato da Parigi nella città costiera, in una realtà complessa che- lo
mettono tutti sull’avviso- lui, parigino, farà fatica a comprendere. Una sfida
per Daquin.
Il libro si era aperto con la
scena di un matrimonio a New York nel 1966: la bella e giovane Emily,
nipote di un ricchissimo magnate delle miniere sudafricane, sposava Michael
Frickx, trader di una holding del commercio internazionale. Ritroviamo Emily
sette anni dopo a Nizza: è al braccio di Maxime Pieri quando, sulla scalinata del
casinò, uno sconosciuto gli spara dieci
colpi. Mira eccezionale, Emily sviene, è coperta del sangue di Pieri ma lei
non è stata colpita neppure di striscio. Da giovane Maxime Pieri era stato
molto vicino a una delle famiglie coinvolte nel traffico della droga, in
seguito però era diventato uno stimato imprenditore a capo di una linea di
commerci marittimi. Possibile che la sua morte sia un regolamento di conti? E
che cosa ci faceva Emily con lui? lei sostiene di averlo incontrato per caso in
una galleria d’arte, lo aveva conosciuto anni prima a Milano, tramite suo
marito. Il quale, peraltro, arriva nella villa che i Frickx hanno in affitto
sulla costa in Francia, affida la moglie alle cure (o alla sorveglianza?) del
cugino di lei e riparte, senza farsi vivo con la polizia che vorrebbe
interrogarlo.
La trama si fa serrata, complessa, quanto mai intrigante. Muoiono, uno dopo
l’altro, altri due uomini che sono in relazioni di affari con Michael Frickx-
non esiste il caso, non esistono le coincidenze. Come spesso accade nei romanzi
di Dominique Manotti, l’enigma da risolvere non è tanto scoprire chi sia il
colpevole- qui sappiamo bene che Michael Frickx non è di certo l’esecutore dei
delitti ma c’è lui dietro. Il fascino della trama è nel seguire Daquin nella
sua ricerca di spiegazioni e di prove, nell’arrivare a comprendere le motivazioni economiche (si parla di
cifre astronomiche) e le speculazioni
di persone indubbiamente molto intelligenti, preveggenti, che osano rischiare
nella quasi certezza di un enorme tornaconto. In questi casi la vita del singolo ha un valore nullo, se
è di intralcio.
L’attualità
di “Oro nero” è sconcertante.
E mi pare chiaro che fosse negli intenti della scrittrice. Ci fermiamo a
riflettere quando l’amico siriano di Daquin gli dice, “La Storia cammina in direzione dei popoli arabi, e noi saremo
all’appuntamento…..Noi siamo stati spogliati, calpestati per un secolo.
Vogliamo la rivincita. Detto questo, Nixon, spezzando i legami del dollaro con
l’oro, ha provocato la svalutazione dei prezzi del petrolio, e dato il segnale
del grande sconvolgimento. Le grandi compagnie vogliono scaricare su di noi il
costo della crisi del dollaro, noi faremo a meno di loro, riprenderemo il
controllo delle nostre ricchezze naturali, produrremo e venderemo il nostro
petrolio ai nostri prezzi per il bene dei nostri popoli.”. In queste parole avvertiamo una
premonizione.
Sullo sfondo di una Marsiglia che ci fa
provare una punta di nostalgia per Izzo, con un Daquin che mal tollera la
segretezza dei suoi incontri amorosi (gli hanno fatto capire che è meglio che
non si sappia che è gay) e ama la cucina mediterranea, un romanzo intelligente nel tipico stile ‘manotti’: non sarete delusi.
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