painting fiction
il libro ritrovato
L’amore in un arazzo
Tracy Chevalier, “La dama e l’unicorno”
Ed. Neri Pozza, trad. Massimo
Ortelio, Euro 15,50
Un arazzo , il segno esteriore
dell’importanza e della ricchezza di una famiglia, una maniera fastosa per
rivestire, riscaldare e illuminare le pareti di una stanza, una storia
intessuta da tramandare alle altre generazioni, lo specchio di altre storie
vissute, delle vite dei personaggi che sono lì raffigurati. C’è un arazzo al
centro dell’ultimo libro di Tracy Chevalier, “La dama e l’unicorno”, e ancora
una volta, come già ne “La ragazza con l’orecchino di perla”, l’autrice riesce
a operare una sorta di magia, a tessere lei stessa un arazzo di parole, a farci
entrare nel quadro che stiamo guardando. Da un giorno di Quaresima del 1490
alla Candelora del 1492, poco meno di due anni per il tessitore di Bruxelles
Georges de la Chapelle per portare a termine i sei arazzi commissionati da Jean
le Viste di Parigi. In realtà Jean le Viste avrebbe voluto delle scene di
battaglia come soggetto degli arazzi; era stata sua moglie Geneviève a chiedere
qualcosa di più gentile, visto che gli arazzi sarebbero stati la dote della
figlia Claude. Impossibile che ci sia della malizia nel suggerimento della
devota Geneviève, di rappresentare la dama e l’unicorno nei riquadri. E’ facile
capire la simbologia dell’unicorno, ed è questa sessualità celata, accennata e
trionfante, questo erotismo elegante che diventa il filo conduttore delle
storie vissute a Parigi e Bruxelles, fuori e dentro l’arazzo. Il pittore
Nicolas, sempre pronto a infilarsi sotto tutte le gonnelle senza curarsi dei
figli che lascia in giro, dà le sembianze di Geneviève e di Claude a due delle
grandi figure femminili, e le altre due avranno le fattezze di Christine e di
Aliénor, la moglie e la figlia del tessitore belga.
Due anni di lavoro in cui
due ragazze metteranno al mondo due figli di Nicolas, Claude viene mandata in
convento perché non venga sedotta dal pittore, Christine si mette al telaio
contravvenendo alle regole della gilda, e noi impariamo a conoscere i segreti
dell’arte della tessitura, la tecnica di ingrandire i disegni sui cartoni che
serviranno da modelli alla rovescia, la pazienza richiesta dallo sfondo millefleur che ha i colori e i profumi
del giardino di Aliénor. Si alternano i punti di vista, della madre e figlia parigine
vestite con i broccati che riappaiono negli arazzi e della madre e figlia di
Bruxelles che si consumano gli occhi sul telaio (ma la dama che tiene
l’unicorno in grembo ha il viso triste di Aliénor), di Nicolas il seduttore e
del buon cartonista Philippe, (ma è lui che sposa Aliénor e fa da padre al
figlio dell’altro). Ha una qualità pittorica, lo stile della Chevalier, e il
suo romanzo ha il dono di alludere, di suggerire, di stimolare i sensi del
lettore, con la sua ricchezza visiva, l’attenzione alla consistenza tattile dei
tessuti, agli odori più o meno gradevoli, alla musicalità della parola. la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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