lunedì 12 maggio 2014

Azar Nafisi, "Leggere Lolita a Teheran" 2003

                                                           Voci da mondi diversi. Asia
     il libro ritrovato


Recensione e Intervista
Azar Nafisi,  “Leggere Lolita a Teheran”
Ed. Adelphi, trad. Roberto Serrai, pagg. 379, Euro 18,00

Ci sono tre modi diversi per avvicinarsi al libro “Leggere Lolita a Teheran” dell’iraniana Azar Nafisi, oggi professoressa di Letteratura inglese presso l’Università John Hopkins: si può leggere come un documento-testimonianza sulla vita delle donne nella Repubblica Islamica dell’Iran, oppure come un saggio critico di letteratura, o ancora come uno studio di come la letteratura possa cambiare la vita delle persone. Nel 1995, dopo aver lasciato l’insegnamento nell’Università di Teheran, Azar Nafisi aveva proposto a sette studentesse un seminario di letteratura in casa sua. Si sarebbero incontrate per due anni ogni giovedì mattina; una volta alla settimana, dopo aver varcato la soglia, si sarebbero tolte il velo e la lunga veste nera, sarebbero diventate delle altre, libere di cercare se stesse mentre cercavano il significato di quello che leggevano.
Anche alla professoressa Azar Nafisi si sarebbe ben adattato il saluto che gli studenti del film “L’attimo fuggente” rivolgevano al loro professore con i versi di Whitman, “o capitano, mio capitano”, perché anche Azar Nafisi, come il professor Keating, insegnava alle sue studentesse che le parole e le idee possono cambiare il mondo. E i libri più rivoluzionari non sono quelli apertamente tali, piuttosto quelli apparentemente innocui, quelli accusati di essere uno specchio del mondo borghese. Perché il problema del matrimonio che tanto assilla le signorine Bennett di Jane Austen contiene in nuce il problema della libertà di scelta, le eroine di Henry James, Daisy Miller e Catherine Sloper, insegnano la dignità del rifiuto di soggiacere alle imposizioni, Gatsby ci parla della perdita dei sogni e Lolita diventa il simbolo di tutte le donne di Teheran a cui è stata rubata la vita, proprio come Humbert Humbert ha fatto alla protagonista del romanzo di Nabokov, che non è la bambina che adesca l’uomo di mezza età, ma la vittima prigioniera in cerca di una via di fuga.
Parlare di letteratura, per Azar Nafisi, per Nassrin che è stata in prigione, per Azin che si dipinge le unghie di rosso scarlatto per poi nasconderle con i guanti, per Sanaz che è piantata dal fidanzato che studia in Inghilterra, significa sottrarsi per qualche ora al censore cieco che nega il valore di un libro a meno che non sostenga l’ideologia- perché ogni gesto a Teheran, anche il più privato, viene interpretato in chiave politica, e così un ricciolo che sfugge dal velo, ascoltare musica, leggere un libro possono diventare un segno di ribellione. Quello che ci dice Azar Nafisi è che la critica letteraria non è solo una valutazione dei testi, è un metodo di approccio alla vita e l’eroe che ci propone il romanzo moderno, quello del “fallito coi fiocchi”, dovrebbe diventare un modello per tutti: eroe è chi sceglie la sconfitta pur di conservare la propria integrità. Nessuna delle studentesse arriva a decisioni estreme come il ragazzo nel film con Robin Williams, ma certamente è cambiato il loro modo di guardare il mondo, c’è in loro un nuovo coraggio e noi ne seguiamo le scelte, come avevamo seguito i dibattiti sulla letteratura. Stilos ha intervistato Azar Nafisi, una delle attesissime ospiti d’onore del Festival della Letteratura di Mantova.




Le studentesse del suo romanzo sono animate da un desiderio di lettura per cui sono pronte a ogni rischio. Si può interpretare il suo libro come un libro sul desiderio?
     Certamente sì, in parte tutti i libri sono sul desiderio, sono un’espressione sul desiderio. C’è qualcosa sul desiderio di cercare qualcosa dentro di te che sembra vicino e non lo è. Scrivere è un atto di desiderio.

Dovremmo essere dunque grati alla Repubblica Islamica per aver trasformato il proibito in un oggetto di desiderio? Il piacere del proibito vale la coercizione?
     Niente dovrebbe giustificare la coercizione e la repressione. Sfortunatamente ci si abitua alle cose che importano, i sensi si ottundono, diamo per scontato quello che importa e paghiamo un alto prezzo per ricordarlo. L’assenza diventa più importante della presenza, quando l’essere amato è assente ne sentiamo di più la mancanza, lo immaginiamo più vicino di quando c’è.

 Quando ha formato il gruppo di lettura, era più vivo in lei il desiderio di ribellione o il piacere di parlare dei libri?
      Il piacere dei libri e la ribellione vanno insieme. Era il desiderio di essere chi sei. Quando mi si costringe a fare qualcosa, c’è un “no” che emerge in me e, ogni volta che c’è una costrizione, il posto in cui rifugiarmi è nella mia immaginazione o nei libri. E’ il desiderio di essere chi si è e non lasciare che siano gli altri a definirti.

E prevaleva in lei il desiderio di leggere dei libri vietati o di leggerli in maniera diversa?
    Alcuni di questi romanzi venivano discussi in università, ma sì, volevo un’atmosfera libera. In università c’era sempre una barriera, dovevamo vestirci in una certa maniera, sederci in un certo modo, sorvegliare i gesti, e invece volevo che loro e io fossimo come siamo. Faceva molta differenza, ci ha aiutato ad aprirci. Quando sai che gli altri ti accettano come sei, cambia tutto il tuo atteggiamento.

La lettura dei grandi libri ha una funzione liberatoria. E’ consapevole oggi lo scrittore della valenza politica e sociale della sua opera?
    L’atto di scrivere nasce da un sentimento personale. Ogni scrittore dovrebbe essere consapevole di quello che succede nel mondo. L’atto di scrivere significa rendere gli altri consapevoli di quello che avviene attorno a noi, significa rendere gli altri vigili di quanto accade. Anche gli scrittori non impegnati sono portatori di ribellione: “Lolita” è una critica corrosiva della mentalità totalitaria anche se non è un libro politico.

Parlando della Rivoluzione Islamica un personaggio del suo libro dice che l’estrema destra e l’estrema sinistra avrebbero fatto la stessa cosa. Quindi sono le ideologie da combattere?
   Certo, l’ideologia è il vero pericolo da combattere. Quando vivevo nella Repubblica Islamica mi veniva in mente la Russia di Stalin o la Germania di Hitler. Nella Russia di Stalin era stata tolta la scena della morte del cigno dal balletto perché le masse ne sarebbero state turbate, così come, per lo stesso motivo, nella Repubblica Islamica, è stata tolta la scena del suicidio di Otello dalla tragedia. L’ideologia è pericolosa. Il mondo è vario e differenziato e, quando si riducono tutte le voci a una, diventa pericoloso. Il fondamentalismo religioso e il comunismo sono entrambi pericolosi. Non voglio dire che dovremmo eliminare gli estremismi di destra e di sinistra, ma che trovano il loro posto nelle società democratiche.

Come riesce a conciliare il suo amore per la letteratura americana con la politica americana?
    La narrativa è sempre sulla tensione, la riconciliazione avviene alla fine: “ e tutti vissero felici e contenti”. Mi piace la narrativa, tutta la narrativa, non ci sono confini. La domanda è allora, come riconcilio il romanzo con la crudeltà del mondo? La letteratura serve per questo; come dice Adorno, la letteratura ci aiuta a resistere al mondo che ci punta continuamente una pistola alla testa.

Assia Djebar ha detto che la legge del velo in Francia è figlia del fondamentalismo laico, anche questo è pericoloso, no?
     Il fondamentalismo è usare la religione come strumento ideologico. La grande querelle non è tra laici e religiosi, ma fra avere una mentalità stagnante e totalitaria o libera e aperta. E’ la mente che fa la differenza. Penso che la questione della legge in Francia abbia più dimensioni e tocchi più problemi che non semplicemente l’opposizione tra laicismo e religiosità e penso che questi problemi riguardino tutta l’Europa.

Come è stato recepito il suo libro in Iran? A noi lettori ha fatto sentire l’Iran più vicino e per molti aspetti simile a noi.      

     Grazie per aver detto questo. Quando sono arrivata negli Stati Uniti, mi sono resa conto che il danno che i fondamentalisti hanno fatto non è stato solo cambiare noi, ma anche l’immagine che gli altri hanno di noi, del nostro popolo. Nel libro volevo dimostrare che certi desideri sono comuni a tutti; i grandi ambasciatori dei paesi sono le opere dell’immaginazione che portano avanti i discorsi tra le culture. In Iran c’è una società raffinata e articolata, viste dall’esterno le immagini che arrivano sono strane, ma se si guarda con attenzione, ci si accorge che persino portando il velo le donne fanno resistenza: possono indossarlo in una maniera artistica e raffinata, personale, che è già un segno di ribellione. In privato gli iraniani sono come voi. La letteratura esalta non solo le differenze ma anche le somiglianze tra i popoli.

 Dove si sente a “casa”? forse nell’immaginazione?
     E’ una domanda che mi è stata fatta spesso e ho dovuto pensarci. Da bambina mio padre mi leggeva le storie delle “Mille e una notte”, Pinocchio, Tom Sawyer, Andersen. Dove appartenevo allora? L’attore preferito di mia madre era Rossano Brazzi, io ero innamorata di Alain Delon. Dove è la patria? Qual è la patria di un bambino nutrito di immagini diverse? La realtà è che sei cittadino del mondo, il mondo è instabile, tutto ti può essere portato via, o per una rivoluzione, o per un terremoto, un uragano. Hai però la memoria, i ricordi, l’immaginazione. La repubblica dell’immaginazione è la mia patria.

la recensione l'intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos


                                                       

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