Voci da mondi diversi. Medio Oriente
il libro ritrovato
Amos Oz, “Il Monte
del Cattivo Consiglio”
Ed. Feltrinelli, trad. Elena Loewenthal, pagg. 240, Euro
17,00
Titolo originale: The Hill of Evil Counsel
Anche
di notte, al chiaro di luna, i soldati inglesi avevano da fare nello spiazzo
dell’adunata, entro le mura della caserma Schneller. Visti dalla mia finestra
mi sembravano esausti. Che lunga che è la via, da qui a Tipperary. Dicono che
forse la prossima settimana arriverà l’Alto commissario e passerà in rassegna
la truppa qui. Dicono che il comandante della Resistenza si nasconda da qualche
parte a Gerusalemme e stia mettendo a punto gli ultimi dettagli della rivolta.
Tre novelle scritte negli anni 1974 e
1975 sono raccolte nel libro di Amos Oz appena pubblicato da Feltrinelli, “Il
Monte del Cattivo Consiglio”. Come spesso avviene quando si ‘recuperano’
scritti di un autore di cui abbiamo già letto opere più recenti, la lettura
diventa un’operazione intrigante alla ricerca di tracce di temi che- lo
sappiamo- saranno nuovamente trattati oppure del tutto abbandonati, prestando
l’orecchio alla musica delle parole per capire se qualcosa sia cambiato, negli
anni, nello stile.
La prima cosa che colpisce, leggendo “Il
Monte del Cattivo Consiglio”, è l’effetto Tempo: stiamo leggendo, nel 2011,
delle novelle di quasi quarant’anni fa che ci parlano di un tempo ancora più
lontano, degli anni immediatamente precedenti il riconoscimento dello stato di
Israele, il 1946 e 1947. E avvertiamo una sensazione di disagio per quella che
sembra essere una situazione di guerra continua, o almeno di allerta continua,
perché in tutte le tre novelle si parla di Resistenza, di armi nascoste, di
preparativi per affrontare quello che succederà, di attacchi previsti sia da
parte degli arabi sia da parte dei soldati inglesi.
La seconda cosa- che non fa che aumentare
il nostro disagio- è che il fermento, i timori, le dicerie, vengono visti e
filtrati attraverso gli occhi e la voce di un bambino, che è poi lo scrittore
stesso. E allora l’effetto è ancora più straniante, soprattutto in “Nostalgia”,
l’ultima delle tre novelle, perché il bambino Uri sembra quasi giocare alla
guerra, come hanno sempre fatto i bambini di tutto il mondo, soltanto che la
cartucciera che ha sottratto ad un soldato australiano ubriaco contiene
pallottole vere e, quando dice che ha scoperto un buco nel muro di cinta della
caserma e che ci potrebbe passare e portare dentro volantini o dinamite, non
sta facendo uno di quei giochi di guerra simulata sul computer che vanno di
moda adesso- parla sul serio.
Riconosciamo subito quel bambino che fa da trait d’union fra le tre novelle. Lo
riconosciamo fin dalla prima storia che dà il titolo alla raccolta. Riconosciamo
anche i suoi genitori, il padre così serio e la bella mamma che ha sempre mal
di testa, per cui bisogna aggirarsi in punta di piedi per casa: è la famiglia
dello scrittore che ritroviamo al centro di quel bellissimo libro che è “Una
storia di amore e di tenebra”, del 2003. Nel 1974 Amos Oz non è ancora pronto
per affrontare direttamente la tragedia che ha spezzato la sua vita, del
suicidio della madre, inizia però ad elaborare il tema dell’assenza, della
scomparsa: in questa novella l’ultima visione della mamma è quella di lei che
balla con l’ammiraglio inglese. Scompare nella notte, leggera come la stoffa
del suo abito azzurro, tra le braccia del nemico- ma non è forse un nemico
anche la morte?
Nelle prime due storie è il
bambino che narra, si chiama Hillel o Uriel, poco importa. E’ sempre lo stesso
bambino che si sente emarginato perché diverso. Diverso solo perché è più
riflessivo, più intelligente, i suoi interessi non sono quelli dei suoi
coetanei: legge molto, ascolta musica con i genitori, fa discorsi da grande. I
bambini sono crudeli, si sa. Basta poco per affibbiare a un bambino ‘speciale’
la nomina di ‘matto’, per imbastire filastrocche contro di lui. Nell’ultima
storia il bambino c’è ma è in un angolo del quadro. Questa volta è un dottore gravemente
ammalato a parlare e parla anche di
lui nelle lettere che scrive alla donna che ha amato e con cui vorrebbe
condividere la nostalgia per il vecchio mondo da cui gli ebrei sono stati
cacciati.
Lo scrittore Amos Oz adesso vive ad Arad,
sul bordo del deserto, ma è nato a Gerusalemme e la Gerusalemme sognata da
sempre da tutti gli ebrei della diaspora (se
mai ti dimenticassi, Gerusalemme, si dimentichi di me la mia destra…), con le
mura che il sole tinge d’oro al tramonto, è una presenza costante nei racconti.
Protagonista anche lei, agognata futura capitale di Israele.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
Amos Oz |
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