Voci da mondi diversi. Canada
Bonnie Garmus, “Lezioni di chimica”
Ed.
Rizzoli, trad. Anna Rusconi, pagg. 450, Euro 19,00
È il 1962, a Commons, in California, “quando
le donne giravano in chemisier, frequentavano circoli di giardinaggio e
trasportavano allegramente legioni di bambini in automobili prive di cinture di
sicurezza…”
Elizabeth
Zott, madre trentenne e single, si alza ogni mattina prima dell’alba ed è
sicura di solo una cosa. Per lei la vita è finita.
Chimica
di professione, adesso conduce giornalmente un programma di cucina per la
televisione, Cena alle sei. Non le si
addice, ne è disgustata, ma ha una bambina da mantenere.
Torniamo indietro a dieci anni prima quando
Elizabeth lavorava all’Hastings Research Institute. Allora questa giovane donna
brillante ed estremamente competente nel suo lavoro doveva combattere contro un
ambiente maschilista che relegava la donna a ruoli subordinati, sottovalutava
il suo lavoro che era pagato meno di quello di un collega uomo, che pensava che
il posto della donna fosse in casa con una nidiata di marmocchi, che la donna
dovesse sentirsi onorata di acquisire non solo il cognome ma anche il nome del marito,
di essere un’ombra, un’appendice del coniuge.
Elizabeth non accetta niente di tutto questo. Non usa la sua bellezza come esca, anzi, sembra che ne sia del tutto inconsapevole. È anticonformista, si ribella a tutte le leggi non scritte dei rapporti convenzionali uomo-donna. Tanto per cominciare non vuole sposarsi e neppure avere figli.
Va
da sé che, quando incontra Calvin Evans, il genio della chimica candidato al
premio Nobel, un altro spirito libero e anticonvenzionale, scatta l’amore tra i
due (peraltro dopo un primo e un secondo incontro che sono tra le tante scene
buffe del romanzo, volutamente calcate e volutamente buffe, quasi a smitizzare
il famoso colpo di fulmine).
È difficile che una felicità così perfetta possa durare. Ci penserà il destino- un cane di nome Seiemezza, un guinzaglio, un automobile- a metter la parola fine. Ed Elizabeth, distrutta dal dolore, non riesce neppure ad accogliere con gioia la bimba che è l’ultimo dono di Calvin.
Il filone di normalità del romanzo- la madre single che viene licenziata e presa di mira, che si deve adattare ad un lavoro che non le piace- è intrecciato a quello che non è affatto normale e che viene, anzi, esagerato per rendere più efficace il messaggio che la scrittrice vuole comunicarci. Perché Elizabeth accetta il compromesso di apparire come cuoca in televisione, ma condurrà il programma come vuole lei, lo trasformerà in lezioni di chimica- tutta la nostra esistenza è chimica, il nostro corpo segue delle leggi chimiche, il cibo che ci nutre deve avere un equilibrio chimico per essere salutare. Tra lo sconcerto di chi le ha affidato il programma e l’ira del produttore televisivo, Elizabeth prosegue imperterrita con le sue divagazioni scientifiche, insegnando che il ‘cloruro di sodio’ è il banalissimo ‘sale’, preparando i piatti più salutari che le famiglie americane abbiano mai messo in tavola. E insieme impartisce una lezione ben più importante a tutte le donne che la seguono- ad avere fiducia in se stesse, a osare, a non sottostare ai desideri e alle volontà repressive degli uomini, a coltivarsi. Il tutto con un mix di pesantezza e umorismo irresistibile.
Il finale riprende la trama più banale e un
poco scontata del tipo romanzo-feuilleton che però serve per sottolineare
l’evolversi dei tempi, grazie al coraggio e all’indipendenza intellettuale di
donne come Elizabeth Zott.
Quando si incomincia a leggere “Lezioni di
chimica” dobbiamo sospendere l’incredulità. Dobbiamo superare il dubbio che sia
possibile per una donna, seppure in America, comportarsi come Elizabeth- nel
1950. Eppure, qualunque esagerazione, anche nel riportare tutto alle formule
chimiche, ha uno scopo preciso- serve per forzarci a riflettere sull’inequità
della condizione femminile. È come la tecnica del paradosso usata da quel
gigante della letteratura che è Jonathan Swift. Non ci si può sottrarre alle
immagini che ci prospetta. E non possiamo fare a meno di ammirare Elizabeth,
proprio come il suo pubblico di casalinghe frustrate. Ci fa ridere, ci fa
piangere, ci fa pensare che sì, noi donne possiamo fare tutto quello a cui
aspiriamo.
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