Voci da mondi diversi. Giappone
cento sfumature di giallo
Togawa Masako, “Residenza per signore sole”
Ed.
Marsilio, trad. Antonietta Pastore, pagg. 176, Euro 17,00
Il prologo e il primo capitolo ci
introducono a due morti che saranno, poi, il punto chiave del libro e il cui
mistero sarà risolto soltanto alla fine- vi dirò l’inizio e non una parola
sulla fine.
Il
primo aprile 1951 muore una donna, investita da un furgoncino mentre attraversa
una strada. Cappotto e pantaloni neri, sciarpa rossa in testa, rossetto sulle
labbra. E però è un uomo, non una donna. Nessuno si presenta per il
riconoscimento. Una donna, nella Residenza K, continua ad aspettarlo. Lo
aspetterà per sette anni, apparecchiando il tavolo anche per lui.
Capitolo primo e scena seconda. Tre giorni prima dell’incidente, l’uomo vestito da donna sale le scale della Residenza K con una valigia in mano. Dentro c’è un bambino piccolo. Morto. L’uomo e la donna che vive nella Residenza lo seppelliranno nel cortile interno, coprendolo con del cemento. Seguiranno altri indizi che, però, non chiariscono nulla per noi lettori. Anzi.
Questo non è, tuttavia, l’unico ‘segreto’
delle ospiti della Residenza, anche se certamente è il più criminoso. D’altra
parte, che cosa potremmo aspettarci da donne sole, molte delle quali in
pensione e con molto tempo per rimuginare e per rivangare il passato?
Una dopo l’altra avanzano sul palcoscenico del romanzo, ad iniziare dalle due portinaie che si danno i turni di sorveglianza. C’è una ex professoressa di liceo che, per non sapere cosa fare, inizia a scrivere lettere alle sue ex alunne (una di queste lettere porterà ad una svolta della trama), una ex professoressa di università che dice di stare revisionando degli scritti importantissimi del marito morto, una ‘barbona’ che accumula immondizie nella sua stanza e dorme dentro l’armadio, una violinista che ha visto infrangersi il suo sogno di gloria per un dito misteriosamente paralizzato, una seguace di una setta che pratica lo spiritismo, e una vecchia un po’ pazza con una criniera di capelli bianchi. Niente male come ospiti stravaganti, vero?
Ognuna di loro ha qualcosa da nascondere,
qualcosa che suscita la curiosità indagatrice di un’altra di loro. Ed ecco che
il passepartout che apre tutte le porte scompare, una donna si intrufola a
ficcanasare in una camera non sua, scopre o non scopre quello che sospettava.
In realtà, al di là dei dettagli di queste
scoperte, quello che viene fuori è la tremenda solitudine di queste donne che
paiono vivere in un carcere in cui si sono rinchiuse loro stesse e da cui sono
incapaci di uscire. Una di loro- quella che continua ad aspettare l’uomo che
non può più arrivare- ci aveva provato, con un esito drammatico. Tutte loro
sembrano espiare una qualche colpa. E quello che ci colpisce non è tanto
l’assenza di un uomo nelle loro vite, ma anche quella di amici o amiche.
Il deus-ex-machina che porta una piccola rivoluzione nell’edificio e che- letteralmente- scoperchia il vaso di Pandora, aggiungendo dramma su dramma, è il congegno meccanico che farà scivolare indietro il palazzo per far posto ad una strada. In teoria il lavoro sarebbe stato fatto senza causare il minimo inconveniente- alle ospiti era stato detto di riempire un bicchiere e di osservare come neppure una goccia di acqua avrebbe traboccato. Vero. Era però uscito fuori ben altro.
La prima pubblicazione del libro è del 1962
e, a dire il vero, dimostra gli anni che ha, almeno per quello che riguarda la
trama, o meglio tutte le piccole trame noir. Gli anni trascorsi ci hanno fatto
incallire, ci siamo abituati a ben altre proporzioni di Male. Restano validi
invece l’analisi psicologica dei personaggi e il quadro di solitudine e di
infelicità che riscontriamo così spesso nei romanzi giapponesi. Un libro che
piacerà certamente a tutti quelli che cercano di capire il Giappone.
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