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guerra dei Balcani
Marzio Mian e Francesco Battistini, “Maledetta Sarajevo”
Ed.
Neri Pozza, pagg. 400, Euro 19,00
C’è una canzone che idealmente può fare
da colonna sonora al libro “Maledetta Sarajevo” di Francesco Battistin e Marzio
Mian. Una canzone il cui titolo suggerisce un amore struggente in contrasto con
il titolo del libro- “Sarajevo, ljubavi moja” (Sarajevo, amore mio) di Kemal Monteno-, i cui versi dicono: Siamo cresciuti insieme, città, tu ed
io…Dovunque io vada, io sogno di te…Adesso il ragazzo è un uomo e l’inverno/
copre le montagne/ Il parco e i capelli sono grigi, ma la neve/ andrà via/ La
primavera e la giovinezza allora riempiranno/ la mia Sarajevo, la mia unica
città.
Sarajevo, amore mio, la città martire che subì l’assedio più lungo della storia bellica del XX secolo, 4 anni dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996, più lungo ancora di quello di Leningrado durante la seconda guerra mondiale. Sarajevo è al centro del libro dei due giornalisti italiani, storia di una guerra durata dieci anni, iniziata dopo la dissoluzione della Repubblica socialista federale di Jugoslavia e che vide il coinvolgimento dei tre principali gruppi nazionali, serbi, bosniaci e bosgnacchi. Fu una guerra ‘anomala’, in parte guerra civile, in parte guerra tra etnie e religioni diverse (musulmani i bosgnacchi, ortodossi i serbi, cattolici i croati) per cui Tito era stato un collante e che avevano convissuto pacificamente a Sarajevo per secoli. Un libro appassionante- sì, appassionante, anche se narra una guerra di una crudeltà inaudita-, questo di Mian e Battistini, perché vivacizzato dalle interviste a testimoni, a vittime, a capi di stato, al giudice della corte dell’Aja, al generale francese che comandava i caschi blu dell’Onu (che cosa fecero per impedire il massacro di Srebrenica?), allo stesso Radovan Karadžić, ex presidente della Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina, il latitante più ricercato che sembrava giocare al gatto e al topo, apparendo e sparendo sotto gli occhi di tutti, condannato all’ergastolo come criminale di guerra, rinchiuso nella prigione dorata dell’isola di Wight.
Partiamo da una data maledetta, una strana
coincidenza che fa sì che il giorno di san Vito, 28 giugno, ad anni di distanza
siano accaduti eventi cruciali per la Storia dei Balcani. Hanno la memoria
lunga, i serbo bosniaci. Il 28 giugno 1389 il principe Lazar, a capo
dell’esercito dell’alleanza balcanica, affrontò l’Impero Ottomano nella Piana
dei Merli per bloccare l’invasione turca in Europa. Ci sono altri popoli che
festeggiano una sconfitta?
Il
28 giugno 1914 a Sarajevo Gavrilo Princip uccise a colpi di pistola l’arciduca
Francesco Ferdinando facendo precipitare l’Europa nella Grande Guerra. Sempre
il 28 giugno, cinque anni dopo, veniva firmato il Patto di Versailles che
metteva fine all’Impero austro-ungarico e all’impero ottomano.
Seicento
anni dopo la Piana dei Merli, il 28 giugno 1989, Slobodan Milošević
pronunciò il discorso che risvegliò l’orgoglio
nazionale dei serbi dando origine a violenti scontri che anticipavano lo
scoppio delle guerre balcaniche.
Ci furono altri significativi 28 di giugno, ricordiamone ancora uno, il Vidovdan 2001, quando Milošević fu arrestato e trasportato all’Aja per essere processato per crimini di guerra davanti al Tribunale Penale Internazionale.
Partiamo da un 28 di giugno per un lungo calvario di guerra che vide vicini di casa trasformarsi in mostri di odio, donne sottoposte a sevizie al cui confronto gli stupri dell’Armata Rossa a Berlino sembrano quasi irrilevanti, i cecchini in agguato, il famoso tunnel scavato a mano che portava all’aeroporto di Sarajevo, la crudeltà di Mladić che quasi impazzì diventando ancora più selvaggio dopo il suicidio della figlia, le tigri di Arkan, principale organizzatore della pulizia etnica voluta da Milosevic. E poi Srebrenica, il genocidio di 8000 musulmani nel luglio 1995. Impossibile perdonare Srebrenica.
La penna felice di Mian e Battistini riesce
ad alternare le voci dei personaggi, gente comune e le persone il cui nome è
diventato tristemente famoso, ad inserire i versi delle poesie di Karadžić, lo
psichiatra poeta che si è improvvisato guaritore, a descriverci lo sguardo e il
gestire dell’uno e dell’altro con tocchi di amara e beffarda ironia che ci
aiuta a ‘digerire’ quello che leggiamo.
Gli autori scrivono che, da quando si ha una
memoria storica, ci sono stati nel mondo solo 14 giorni senza una qualche
guerra. Ne stiamo vivendo una in questi giorni, vicino a noi, proprio come
quella di trent’anni fa in Bosnia. La tragedia si ripete senza fine.
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