Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
Edith Wharton, “Le sorelle Bunner”
Ed.
Elliot, trad. C. Fioravanti, pagg. 128, Euro 14,50
New York. Inizio del secolo scorso. Un
negozietto stretto fra una mensa e un albergo di bassa categoria. La vetrina
espone cappellini e merletti- le due sorelle proprietarie del negozio fanno le
modiste ed eseguono piccoli lavori di cucito. Sul retro c’è l’unica stanza che
serve da abitazione, sempre in un ordine perfetto- riflette l’arte di essere
poveri.
Ann Elizabeth è la più grande, Eveline la
minore. Nessuna delle due è bella, Eveline ha ancora un poco della grazia della
giovinezza. Indossano abiti neri dal tessuto un po’ lucido per l’uso, fuori
moda. Quando Eveline vorrà agghindarsi, appunterà un fiocco rosso sotto il
colletto. Quando Ann Elizabeth vorrà dare un tocco speciale al vestito, tirerà
fuori una spilla di mosaico.
C’è
stato un tempo in cui qualche giovanotto ha fatto visita alle sorelle, ora,
però, entrambe hanno abbandonato ogni speranza di mettere una fine alla
solitudine.
Poi…un orologio fa da galeotto. Ann Elizabeth lo ha acquistato nel negozio di un immigrato tedesco, Hermann Ramy, per regalarlo a Eveline nel giorno del suo compleanno. Ann Elizabeth aveva osservato che l’orologiaio sembrava essere ancora più solo di loro, che il suo negozio era pieno di polvere e in disordine- ma che ne sanno gli uomini della polvere? Non la vedono neppure.
Possiamo intuire il seguito della trama, ma
Edith Wharton è eccezionale nel seguire, sul ticchettio dell’orologio che segna
il passare del tempo, il progredire di questa esile amicizia, come palpiti il
cuore della sorella maggiore, come escogiti la maniera di rivedere l’orologiaio
approfittando del fatto che l’orologio si è fermato, come sia delusa perché
l’opportunità svanisce e come sia dibattuta tra la gelosia e una generosa
contentezza quando Ramy inizia frequentare la loro casa e sembra corteggiare
Eveline. La quale è al settimo cielo. Lui ha raccontato che era capo orologiaio
da Tiffany, loro gli hanno creduto.
Quello che accadrà in seguito è solo in parte prevedibile. Quello che noi ammiriamo è la sottigliezza psicologica della scrittrice nel parlarci di queste due piccole vite- una delle sorelle quasi pronta a sganciarsi dallo stereotipo per cui una donna deve essere maritata, e non importa se bene o se male, l’altra che ne è ancora prigioniera. Non si parla d’amore, piuttosto di solitudine e del desiderio di alleviare questa solitudine con qualcuno che non faccia parte della famiglia e si interpreta la minima gentilezza, come il suggerimento di una passeggiata nel parco, come un indizio di qualcosa di più. E fa parte della classe sociale di una borghesia decaduta il non premunirsi, il non chiedere informazioni su un possibile partito, quasi l’ombra della riflessione- chi sono loro, le sorelle Bunner, per pretendere di meglio di un altro commerciante? Quando chiederanno, sarà troppo tardi.
Nella New York delle sorelle Bunner non si
respira il lusso di quella di May ed Ellen de “L’età dell’innocenza”. La loro
casa minuscola, triste e buia è lontana anni luce dai salotti scintillanti
delle due protagoniste dell’altro famoso romanzo, se queste si aggiravano in
carrozza, quando si avventurano fuori Ann Elizabeth ed Eveline salgono su tram
e traghetti e vanno a piedi, l’unica loro spilla non può competere con i
gioielli di May ed Ellen. Di simile, nei due romanzi, troviamo la sfiducia nel
sesso forte e una certa qual diffidenza nei confronti dell’Europa- la Polonia
del conte da cui Ellen ha divorziato e la Germania dell’orologiaio.
A proposito, l’orologio è stato dato via,
alla fine. Ha segnato il suo tempo. “Tutto il resto è silenzio”, come scrive il
Poeta.
Un piccolo gioiello. Da leggere.
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