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prima guerra mondiale
Ilaria Tuti, “Fiore di roccia”
Ed. Longanesi, pagg. 241, Euro 18,80
Formato kindle 9,99)
Lo chiamano ‘fiore di roccia’ o ‘stella alpina’. Lo conosciamo con il
nome di ‘Edelweiss’ ricordando Julie Andrews che cantava la canzone in “Tutti
insieme appassionatamente”. È un fiore raro e prezioso, diverso da qualunque
altro con quei petali vellutati. Nel linguaggio dei fiori significa ‘coraggio’.
Quanto coraggio, di quello che non ha bisogno di parole per spiegarlo, quello
delle Portatrici carniche della Grande Guerra.
Nel suo nuovo romanzo “Fiore di roccia”, Ilaria Tuti ci racconta la storia
vera di donne, vecchie, giovani e giovanissime, che furono ‘reclutate’ nei
villaggi ai piedi delle pareti di roccia della Creta di Timau dove, lassù in
vetta, lungo il confine tra Italia e Austria, passava il fronte durante la
prima guerra mondiale. Un dettaglio che avrà la sua importanza nel libro:
questa è un’area in cui si parla, fin dal medioevo, un particolare dialetto
carinziano molto simile al tedesco. E c’è un personaggio vero che possiamo
immaginare in uno di quelli di cui leggiamo in queste pagine: Maria Plozner
Mentil,
morta il 15 febbraio 1916, colpita da un cecchino austriaco mentre si
riposava con un’amica dopo aver consegnato il carico della sua gerla agli
alpini. I suoi resti sono conservati nel tempio Ossario insieme a quelli degli
altri caduti al fronte, una caserma è intitolata a suo nome e il Presidente
Scalfaro le conferì una medaglia d’oro al valor militare nel 1997, come
rappresentante di tutte le Portatrici.
Il lavoro di Ilaria Tuti per fissare nella memoria il ricordo di queste
donne è importante e necessario. Perché
la guerra è sempre stata degli uomini, perché quanto hanno fatte le donne, sia
come crocerossine negli ospedali da campo, sia- in maniera del tutto trascurata
e sottovalutata- per ‘tenere il fronte’ a casa (c’è una bellissima canzone
inglese, Keep the home fires burning,
che sottolinea il valore del ruolo femminile come sostegno psicologico per gli
uomini in battaglia che pensano a madri e mogli che ne aspettano il ritorno), è
sempre stato considerato secondario. Le Portatrici carniche salivano in vetta al
mattino presto dopo aver riempito le gerle di munizioni, pezzi di armi, viveri-
un carico il cui peso poteva arrivare a 40 kg. Gli spallacci delle gerle
incidevano la carne, la schiena urlava dal male, il freddo mordeva le mani. Ai
piedi calzavano le scarpitz, le pantofoline con la suola di tessuto che faceva
presa sui sassi nell’ascesa.
Si arrampicavano come capre in un percorso che non
era senza pericoli perché i cecchini, ‘i diavoli bianchi’, erano in agguato.
Prima di partire avevano già svolto una parte dei lavori necessari con le
bestie o nei campi. Al ritorno non le aspettava il riposo dopo la fatica, ma
altri lavori, anche lavare gli indumenti che erano stati loro affidati dagli
alpini. Alcune di loro- come Maria Plozner- avevano bambini piccoli, altre,
come la protagonista voce narrante, avevano genitori anziani di cui prendersi
cura.
In vetta si combatte, in una battaglia disperata il fronte cade e poi
viene riconquistato. I morti- sono tutti giovani- vengono portati dalle donne
in paese su slitte, per essere seppelliti. Le Portatrici proseguono il loro
combattimento, contro la fame e la fatica e, sì, la paura. E poi c’è un’altra
battaglia ancora- quella contro i traditori, contro coloro che si sentono più
austriaci che italiani, oppure che, più semplicemente, passano nelle file dei
più forti.
“Fiore di roccia” è costruito su testimonianze e fatti storici veri e
poi la scrittrice aggiunge del ‘suo’- molti dei dettagli che riguardano le
portatrici, perfino i loro sentimenti, sono veri; inventato è il personaggio di
Agata Primus (con un cognome preso a prestito da una portatrice realmente
esistita) e tutta la storia che la riguarda. È un bel personaggio che, con la
sua forza e intelligenza, ben si contrappone a quello del capitano degli
alpini- l’omaggio che questi le fa, di un fiore di roccia, è un riconoscimento
di parità.
Debole e inadeguato è, invece, il finale sentimental-rosa che
sarebbe stato meglio evitare: il significato dell’insensatezza della guerra tra
gente che parla quasi la stessa lingua, era già chiaro.
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la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.it
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