vento del Nord
cento sfumature di giallo
David Lagercrantz, “L’uomo che inseguiva la sua ombra”
Ed. Marsilio, trad. Laura Cangemi e
Katia De Marco, pagg 329, Euro 7,99
Avvertiamo subito qualcosa di nuovo, leggendo “L’uomo che inseguiva la
sua ombra” ovvero Millennium 5 di David Lagercrantz, lo scrittore svedese che
ha accettato l’incarico (o la sfida?) di proseguire la trilogia di Stieg
Larsson, morto troppo presto e mai a sufficienza rimpianto. Avevamo già notato
come Mikael Blomkvist fosse una figura scialba nel precedente “Quello che non
uccide”. Avevamo avuto l’impressione che David Lagercrantz facesse fatica a
fare suoi i personaggi creati da un altro. Ne “L’uomo che inseguiva la sua
ombra” lo scrittore si stacca nettamente dal suo modello, sembra aver preso una
decisione. Lascia in secondo piano Mikael e fa di Lisbeth Salander la
protagonista principale in una trama che vede Lisbeth non solo come l’eroina
che difende le donne ma anche come la giovane donna che deve venire a termini
con il suo passato, deve ricostruirlo, cercando i pezzi che mancano nella sua
memoria. E la trama è doppia in questo romanzo imperniato sul tema della
gemellarità e dei doppi che sono delle ombre.
Per un verdetto della giustizia che ha molto di ingiusto, Lisbeth deve
scontare una breve condanna in un carcere di massima sicurezza dove imperversa
una detenuta che si fa chiamare Benito in onore del Duce- e abbiamo detto
tutto. Nessuno osa mettersi sulla strada di Benito, men che mai il pusillanime
capo delle guardie. E adesso la vittima nel mirino di Benito è una bella e
giovane donna del Bangladesh, accusata di aver ucciso il fratello che le aveva
ammazzato il ragazzo di cui era innamorata. Va da sé che Lisbeth, fulminea e
spietata, prenda in mano la situazione. E però Benito le giurerà eterna vendetta.
Questo è un filone della trama che
vedrà Benito dare la caccia a Lisbeth, mentre Lisbeth è invece alla caccia di
una donna con una macchia rossa sul collo che ricorda di avere visto parlare
con sua madre, una sera di tanto tempo prima quando Lisbeth, di soli sei anni,
era scappata a piedi nudi da casa. È questa ricerca che ci porta a conoscere il
Registro per lo studio della genetica e dell’ambiente di Upssala. Nonostante
che l’Istituto svedese di biologia razziale fosse stato chiuso nel 1958, le
ricerche erano state trasferite all’istituto di genetica dell’università di
Upssala. E prevedevano lo studio dei gemelli in un programma di una crudeltà
inaudita avvallata dagli intenti scientifici.
Si inserisce qui un romanzo dentro un
romanzo, la storia- drammatica quanto quella di Lisbeth e della sua gemella
Camilla- di un’altra coppia di gemelli separati alla nascita. Una vicenda che
si riallaccia al filone principale della trama.
Ho apprezzato il modo in cui David Lagercrantz ha cercato di trovare il
suo stile nel difficile compito di portare avanti un’idea non sua. Ho anche
apprezzato, soprattutto a posteriori, quella sua certa titubanza, come fosse
lui stesso in soggezione davanti al mitico Larssen. E certamente, se smettiamo
di fare paragoni e di aspettarci quello che non può esserci nel proseguimento
di Millennium, riusciamo a goderci di più la lettura dei suoi libri. Ci
entusiasma, soprattutto, la spiegazione che Lisbeth dà del drago tatuato sulla
sua schiena: è in carattere con lei, è un sovvertimento dell’interpretazione
comune della figura di San Giorgio che uccide il drago per difendere una
vergine. Proprio come lei, Lisbeth, sovverte l’idea generalizzata del modello
femminile.
a breve seguirà la recensione di Millennium 6 e l'intervista con David Lagercrantz