Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
un classico
Ivy Compton-Burnett, “Più donne che uomini”
Ed. Fazi, trad. S. Tummolini, pagg.
260, Euro 19,00
Ci sono dei romanzi che lasciano
indovinare, fin dalle prime frasi, la nazionalità dell’autore o dell’autrice.
“Più donne che uomini” è uno di questi- squisitamente inglese in ogni sua
parola, in ogni significato non detto esplicitamente, nell’uso sottile
dell’arte britannica dell’understatement,
nell’humour secco che- lo ripeto- può essere solamente inglese. E’ un libro
fatto di dialoghi, questo di Ivy Compton- Burnett, una scrittrice così moderna
che dobbiamo rileggere la sua data di nascita- 1884- per capacitarci di non
aver fatto un errore. Non troverete descrizioni in “Più donne che uomini”,
tocca al lettore immaginare l’aspetto fisico dei personaggi e l’ambiente in cui
si muovono.
Siamo in un collegio femminile, la direttrice è Josephine, una donna di
polso. Le prime pagine ci introducono al corpo insegnante, tutte donne, come si
addice ad una scuola femminile. E già, nei discorsi che intrecciano nel
ritrovarsi dopo un periodo di vacanza, avvertiamo correnti di sentimenti fuori
dai soliti binari, fanno pensare ad amori lesbici. E sussultiamo (il romanzo è
stato scritto nel 1933). Quello di amori ‘proibiti’, tra donne o tra uomini, è
una delle tracce narrative del romanzo che si innesta, però, sulla traccia più
ampia dei rapporti amorosi tra marito e moglie, tra padre o madre e figli, tra ex
innamorati. Il microcosmo della scuola è un covo di segreti che vengono svelati
a poco a poco dopo un tragico avvenimento che sembra scoperchiare il vaso di
Pandora.
Un accenno agli altri personaggi che hanno un ruolo importante- Felix,
giovane di bella presenza con tendenze chiaramente omosessuali anche se finisce
per sposare una delle insegnanti della scuola; Jonathan, fratello di Josephine
che è stato una sorta di tutor per Felix insegnandogli però anche altro dalle
materie scolastiche (di certo il padre di Felix non ne sarebbe contento);
Gabriel, figlio di Jonathan che lo ha affidato alle cure della sorella quando
era appena nato; Elizabeth, vecchia amica di Josephine che assume il ruolo di
governante nel collegio. Strani legami uniscono questi personaggi, è come se
l’amore sia stato in qualche modo distorto, soffocato per mancanza di ossigeno.
Padri che hanno allontanato i figli, una madre surrogata che ha un rapporto
morboso con il figlio adottivo, fidanzati ‘rubati’ (ma che uomo è che si lascia
‘rubare’? ha senso incolpare e volersi vendicare della donna che si è presa
l’uomo di un’altra?), fidanzate boicottate. E, di continuo, in battute ‘botta e
risposta’, un confronto tra uomini e donne. Negli anni in cui le donne
intraprendono le prime lotte femministe e si battono per la dignità di un loro
lavoro, nel romanzo di Ivy Compton-Burnett sono le donne ad avere più nerbo a
fianco di uomini scialbi che mancano di iniziativa.
Può darsi che non sia
immediato, per il lettore, entrare nell’atmosfera del romanzo, capirne la
chiave di lettura. Dopo, però, è impossibile non godere della vivacità dei
dialoghi con i loro significati nascosti, non essere stuzzicati da quanto non
viene detto apertamente ma solo accennato, non provare piacere davanti alla
rivelazione di segreti che avevamo fiutato. Un bel quadro d’epoca.
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