Voci da mondi diversi. Asia
il libro ritrovato
Uzma Aslam Khan, “Mehwish parla al sole”
Ed. Neri Pozza, trad. Norman
Gobetti, pagg. 382, Euro 18,00
Il Pakistan del generale Zia che ha proclamato la legge marziale per
bandire ogni oscenità. Tre personaggi che raccontano a turno, in prima persona:
le due sorelle Amal e Mehwish, e Noman, un giovane che studia matematica e che
diventerà lo strumento del Partito della Creazione per incriminare il nonno
delle due ragazze. Perché l’anziano Zahoor è un archeologo che cerca le prove
per dimostrare che la balena di oggi deriva da un mammifero terrestre del Medio
Eocene, e questo è inaccettabile per gli islamici che interpretano il Corano
alla lettera. Ed è Zahoor la figura emblematica centrale del romanzo, ammirato,
quasi venerato da alcuni e oltraggiato da altri.
La giovane scrittrice pakistana Uzma Aslam
Khan ha avuto un’idea brillante per scrivere dell’oscurantismo degli estremisti
islamici: riportare Darwin sulla scena, spostare nel Pakistan moderno le
disquisizioni sulle teorie evoluzionistiche di Darwin che tanto fecero scandalo
nell’Inghilterra e nell’Europa dell’800. Allora e là era la Bibbia il testo sacro di
riferimento. Adesso e nell’Islam è il Corano. Ma non cambia nulla, a quasi due
secoli di distanza. E, dei quattro personaggi, due, Zahoor e la nipote Amal,
sono troppo liberi di mente per non restare vittime del regime, e gli altri due
sono troppo deboli, anche se in maniera diversa, per sottrarsi al ruolo di
vittime.
Le pagine iniziali del romanzo sono di forte
impatto: è Amal a parlare, di quando aveva otto anni e aveva imparato a fare da
guida alla sorellina cieca Mehwish. “Era diventata cieca lo stesso giorno in
cui io avevo trovato il cranio”: Amal non lo sa, ma giustapporre questi due
eventi è un’anticipazione del contrasto di pensiero che si svilupperà poi lungo
tutto il libro. La cecità di Mehwish, di appena un anno, era stata attribuita
ad un colpo di sole, mentre la piccola si trovava con il padre che ispezionava una
cava di pietra. Ed era stata interpretata come una punizione divina per le
colpe degli altri membri della famiglia- il nonno Zahoor che aveva portato con
sé Amal nell’area rocciosa dove la nipotina aveva trovato il sasso che era
invece parte di un mammifero estinto. Scienza e religione- il duello è impari
quando la religione ha dalla sua le forze governative.
La posizione di Noman è più
ambigua. Noman è quello che dice, “Dio ha lasciato questo paese”; Noman vede la
realtà in numeri, ha il genio della matematica, eppure non riesce a sottrarsi
all’imperativo del padre, vicesegretario del Partito della Creazione, che,
nella sua ossessione di purezza religiosa, lo incarica di controllare lo
scienziato darwiniano. Noman, con un nome che significa ‘nessuno’ e quindi
tutti, è il traditore dalla doppia faccia, tormentato come Giuda, perché lui,
in realtà, ammira Zahoor e finirà anche per innamorarsi di Mehwish. La dolce
Mehwish, buffa Mehwish con la sua abitudine di spezzare le parole e di ricreare
il linguaggio, visto che è la sua unica arma per interpretare il mondo. Le
pagine di Mehwish sono forse le più belle di tutto il libro, così come il
legame d’amore tra le due sorelle è di una toccante tenerezza, in netto
contrasto con quello tra Amal e l’uomo che sposerà: qui l’erotismo è
forzatamente accentuato, a sottolineare le distorsioni ipocrite del rapporto
uomo-donna secondo la sharia.
Ci sarà un processo contro Zahoor, ci
saranno ripensamenti, ci sarà un dramma finale in questo romanzo che sfugge
agli stereotipi e, pur peccando di una caduta centrale di tensione, è una bella
lettura intelligente.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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