Voci da mondi diversi. Africa
la Storia nel romanzo
il libro ritrovato
José Eduardo Agualusa, “Le donne di mio padre”
Ed. laNuovafrontiera, trad.
Giorgio de Marchis, pagg. 362, Euro 17,50
Titolo originale: As mulheres do meu pai
Tua madre, tua madre biologica, non volle tenerti. Era una bambina di
quindici anni, figlia di uno degli uomini più ricchi di Ilha de Moçambique, un
commerciante indiano. Si innamorò di un musicista angolano che passava da
quelle parti, proveniente da Quelimane, e rimase incinta.
Nel frattempo l’uomo se n’era
andato. Era tornato a Luanda, a quanto ne so, la ragazza impazzì dal dolore.
“I personaggi cominciano a esistere nel momento in cui appaiono in
sogno”: una frase molto pirandelliana nel capitolo di apertura dell’intrigante
romanzo dello scrittore angolano José Eduardo Agualusa. Un romanzo sfaccettato,
con un itinerario africano- vero- compiuto dallo scrittore insieme alla
sassofonista Karen e al fotografo Jordi. Hanno intenzione di girare un film per
cui hanno già in mente la trama: la storia di una documentarista portoghese che
va a Luanda per assistere al funerale del padre, il famoso musicista e cantante
angolano Faustino Manso. La ragazza, Laurentina, non ha mai conosciuto suo
padre, perché è stata ‘consegnata’ appena nata ad una coppia la cui bambina era
nata morta. E, quasi contemporaneamente, Laurentina ha perso la madre adottiva,
è venuta a sapere di chi fosse figlia e ha perso anche il padre biologico. La
trama prevede che Laurentina si metta in viaggio sulle orme di Faustino, per
scoprire, alla fine, che Faustino Manso era sterile.
E’ un triplice viaggio, dunque, quello che
noi seguiamo nelle pagine del libro e, a volte, sembra veramente di ricalcare
le orme di chi è passato per primo su quel percorso. Un viaggio fatto di tante
variegate realtà, bellissime e crude, e di altrettante invenzioni romanzesche:
leggiamo sul filo di un’incertezza che ha il suo incanto. I capitoli del
viaggio dello scrittore (che è padrone della trama) hanno una data e un luogo
come intestazione, Laurentina e i suoi compagni ripasseranno da quel posto, guardandolo
con altri occhi. Anche Faustino è già passato di là: a quanto pare aveva una
donna ovunque si fermasse, oppure si fermava ovunque avesse una donna. Due o
tre anni, a volte di più. Metteva al mondo dei figli a cui veniva dato il nome
della bevanda che aveva nel bicchiere al momento in cui la donna gli annunciava
che era incinta (è così che si riconoscono i figli di Faustino sparpagliati tra
Angola e Mozambico), e poi ripartiva. Lo scrittore (e noi insieme a lui) sa fin
dall’inizio che tutti i fratelli e le sorelle che Laurentina incontra non sono
i figli di Faustino, ma Laurentina non lo sa. Come non lo sanno i suoi compagni
di viaggio, l’innamorato Mandume, il nipote Bartolomeu e l’autista dello
sgangherato mezzo su cui viaggiano. Quando ha saputo Faustino di essere
sterile? e come la mettiamo con i figli avuti dalla legittima e integerrima
moglie? Lei lo sapeva? E le altre donne? E allora, com’è che Laurentina
incontra una ‘sorella’ che è innegabilmente tale, tanta è la somiglianza?
Il filone dell’uomo prestante e
sessualmente molto attivo ma che si rivela sterile potrebbe avere dei risvolti
da commedia o da farsa. In realtà è solo un pretesto per un racconto brillante
che, tra i tanti incontri e tra i molti paesaggi africani, ci riesce a parlare
della difficile storia dell’Africa, di Angola e Mozambico teatro di guerre di
indipendenza e civili, dei problemi di identità creati dai coloni portoghesi,
di razzismo, di malattie, di povertà e di prostituzione infantile, di
sfruttamento. E di musica, tanta musica. Di colori e cieli sconfinati
disseminati di stelle. Citando versi di poesie sconosciute nel mondo
occidentale. “Le donne di mio padre” è un libro sulla ricerca della verità (chi
era, in realtà, Faustino Manso? Le donne che lo hanno amato danno la loro
visione di lui, e insieme di se stesse), ma non solo della verità del
personaggio centrale, perché, nello stesso tempo, sia Laurentina sia i suoi tre
accompagnatori scopriranno qualcosa su loro stessi. Soprattutto scopriranno che
“la verità è l’unica risorsa di chi non ha immaginazione” e che “non c’è nulla
di così vero che non meriti di essere inventato”. Una lezione valida anche per
lo scrittore, prima di tutti, e per noi lettori a cui viene chiesto di non fare
domande, ma di lasciarci trascinare dalla narrazione.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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