voci da mondi diversi. Area germanica
cento sfumature di giallo
INTERVISTA A WULF DORN
Di media altezza, sottile, capelli
rossicci, aria giovane: Wulf Dorn non assomiglia affatto a tanti dei turisti
tedeschi un poco panciuti che si aggirano nelle città d’arte italiane. Ha una
garbatezza e una cordialità fine che mettono immediatamente a proprio agio- mi
domando se sono qualità connesse con il suo lavoro di psichiatra. Forse sì.
Parla in un ottimo inglese e usiamo questa lingua nell’intervista- si scusa e
passa al tedesco solo quando vuole essere sicuro di non venire frainteso, per
rispondere alla mia ultima domanda.
Un medico che scrive un romanzo- è più che comune che non un ingegnere,
o un economista, o un chimico che scrivano romanzi. Perché, secondo Lei?
Oppure, con una domanda più personale, quando ha avuto inizio la Sua passione per la scrittura?
Non so se sia più
comune trovare un medico che scrive un romanzo, non ci ho mai pensato, ma ci
possono essere delle spiegazioni: gli ingegneri, ad esempio, lavorano con cose
più concrete, hanno a che fare con regole precise e fisse. Nella branchia della
salute mentale si tratta di cose più astratte, meno tangibili, ed è possibile,
così, che la fantasia venga stimolata.
Ho iniziato a scrivere molto
presto- prima di iniziare la vita professionale, la scrittura era il mio hobby.
A dodici anni scrivevo racconti dell’orrore, influenzato da Edgar Allan Poe e
da Lovecraft. Ho nel cassetto ben cinque romanzi mai pubblicati- sono stati un
esercizio per me. Erano romanzi dell’orrore. Il passo verso la scrittura
professionista è stato quando ho incominciato a scrivere di quello che
conoscevo, quello che era vicino all’animo umano- certo, il thriller è vicino
al romanzo horror, ma è un tipo di orrore più realistico.
Il suo lavoro occupa molto spazio nei suoi romanzi: quanto ha
influenzato la sua decisione di scrivere un certo tipo di romanzi?
Ho sempre avuto un
grande interesse per le persone. In quello che scrivo sono i personaggi e le
loro vite ad avere un ruolo importante nelle storie raccontate. Mi domando
costantemente perché un personaggio si comporti in una certa maniera e quali
aspetti psichiatrici io possa impiegare. Il lavoro mi è di grande aiuto: imparo
molto sulla psiche umana lavorando con i pazienti, anche se, per rispetto del
segreto professionale, non scrivo mai nulla che abbia a che fare con dei casi
reali. Certamente, però, i casi di cui scrivo potrebbero essere veri- faccio
anche delle ricerche. E poi il mio lavoro mi ha aiutato a dare uno sfondo
realistico ai romanzi- la clinica, il lavoro quotidiano nella clinica…
Mi ha appena detto che non scrive mai nulla dei casi veri che le si
presentano. Ma penso che forse può unire caratteristiche di casi diversi che le
si presentano, ispirarsi a pazienti diversi che ha incontrato…
La prima cosa che faccio,
quando inizio a scrivere un romanzo, è pensare al personaggio da mettere nella
storia, come svilupparlo. Quando sviluppo l’idea del personaggio, è come un
iceberg di cui si vede solo una punta: nelle mie idee, nei miei appunti, ci
sono tante cose che servono da sfondo, da base nascosta, che mi serve per
sapere come il personaggio si comporterebbe. A volte discuto con dei colleghi
sui miei casi fittizi, se presentano aspetti disturbanti, oppure leggo e mi
documento per sapere se quello che scrivo sia possibile. Il più bel complimento l’ho ricevuto dal mio
capo, professore di psichiatria da anni, che mi
ha detto di aver letto il mio romanzo e aver trovato che ‘funzionava’.
Quando ha iniziato a parlare, dicendomi di aver letto il mio libro, mi sono
venuti i brividi, per la paura del suo giudizio che avrebbe coinvolto entrambe
le mie professioni.
Leggendo il suo romanzo viene in mente il detto che ‘non tutti i matti
sono fuori dal manicomio’. E’ così, secondo la sua esperienza?
Sì, certamente sì. Basta sedersi fuori da
un caffè e osservare la gente. Ognuno ha un lato oscuro: vedi la gente che ride
e sai che è solo una parte di loro, che tutti hanno un lato buio. La maggior
parte delle persone sa come nasconderlo, ma non tutti ne sono capaci o ne hanno
la forza. Non tutti riescono ad ergere un muro di difesa e allora il lato
oscuro esce fuori. E’ il lato della personalità di cui vanno in cerca gli
scrittori di thriller.
L’ipnosi entra nel suo romanzo, come pure nel romanzo “L’ipnotista”
della coppia di scrittori svedesi che si firmano con lo pseudonimo di Lars
Kepler. E’ una terapia diffusa comunemente? Si è dibattuto sulla sua legalità
in Germania? Non sono certa che sia legale in Italia e di sicuro non è molto
praticata da noi…
Vorrei mettere in chiaro
prime di tutto che l’ipnosi non ha niente a che fare con la possibilità di
rompere la libera volontà delle persone, facendole agire come non agirebbero di
per sé. E’ un clichè sull’ipnosi, quello di persone che fanno cose perché sono
influenzate dall’ipnotista. Bisogna dimenticare quello che film e letteratura
ti fanno credere sull’ipnosi.
L’ipnosi aiuta a scavare nelle
regioni della psiche che sono nascoste, aiuta le persone che hanno avuto un
trauma e hanno rimosso, che cercano uno scudo di difesa e bisogna cercare una
chiave per entrare in questa loro parte nascosta. L’ipnosi è uno strumento
utile per recuperare e rielaborare vecchi fatti di vita. In questo senso in
Germania l’uso dell’ipnosi non è mai stato in discussione. Lo è stato il suo
uso più spettacolare, quello che si vede alle feste o in televisione, quando ti
fanno fare cose strane e poi non ricordi nulla. Ci sono stati casi di persone
che, per un risveglio troppo brusco dallo stato di ipnosi, sono morte. Ma nel
vero senso della medicina l’ipnosi è una buona terapia che funziona e dà
risultati positivi. Io stesso ho sperimentato l’ipnosi con un collega: è stato
stupefacente ricordare cose che avevo dimenticato, cose della mia primissima
infanzia, rivedere dettagli, come l’intera stanza dei miei genitori, che erano
scomparsi dalla mia memoria. E’ stata un’esperienza molto bella.
Nel mio romanzo si vede anche che
l’ipnosi può essere una terapia pericolosa: è vero, combinata con delle
medicine può essere molto pericolosa con orribili conseguenze, perché spegne la
volontà dell’individuo. Ma normalmente non vengono usati medicinali nella
terapia dell’ipnosi.
l'intervista e la recensione sono state pubblicate su www.wuz.it
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