cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Liad Shoham, “L’interrogatorio”
Ed. Giano, trad. Ofra Bannet e
Raffaella Scardi, pagg. 350, Euro 15,90
Titolo originale: Misdar Zihui
Poteva Eli essersi lasciato
trarre in inganno dalle accuse di Yaron Reghev, dal suo dolore? Che il dannato
programma statistico per quantificare le prestazioni avesse condizionato anche
lui, spingendolo a dimostrare a tutti di essere capace di sbrigarsela in
fretta, ad arrivare a conseguenze affrettate e a scegliere la soluzione facile,
ovvia, ma anche sbagliata dalle fondamenta? Eli era convinto che Nevo fosse lo
stupratore, lo desiderava tanto che aveva letto nelle parole di nevo cose che
l’uomo non diceva.
Un thriller insolito, “L’interrogatorio”
dell’ israeliano Liad Shoham. Tanto che ho pensato che forse, se uno scrittore
vive in un paese in cui non c’è un alto livello di criminalità, deve per forza
pensare ad una trama originale che fuoriesca dalle solite vicende di assassini
seriali o delitti dettati da gelosia, avidità, rancore, vendetta. Il romanzo di
Liad Shoham inizia con una vecchietta che soffre di insonnia e che, all’una di
notte, guarda dalla finestra con un binocolo a raggi infrarossi (sembra un
personaggio di un film inglese). Quello che vede dapprima la scandalizza- ma
come? amoreggiare così, all’aperto, anche se è buio-, poi la sconvolge: un uomo
sta violentando una ragazza. E lei riesce anche a vedere un tatuaggio sul
braccio dello sconosciuto: troverà il coraggio di parlare solo alla fine, ma
sarà un dettaglio che inchioderà il colpevole.
A questo punto, se il crimine è ‘solo’ uno
stupro, “L’interrogatorio” parrebbe tutt’altro che insolito- purtroppo è una
violenza che avviene perfino troppo di frequente. Non è insolita neppure la
reazione della ragazza, che fatica a riprendersi dal trauma. Ma Adi Reghev ha un padre molto
affettuoso che si mette in mente di vigilare su di lei e passa le notti seduto
in automobile davanti alla casa della figlia. E così vede un uomo che si aggira
con fare dubbio, che sembra seguire una ragazza, che porta in testa lo stesso
tipo di cappellino dello stupratore di sua figlia. Si arriva così all’arresto
di Ziv Nevo che- sfortuna sua- è già stato denunciato per molestie sessuali. La
polizia ha bisogno di un colpevole, il padre di Adi è convinto che Ziv sia il
malfattore e fa pressioni sulla figlia perché non esiti a riconoscerlo come
l’uomo che l’ha aggredita, il commissario Eli Nachum si lascia convincere ed è
durissimo con Ziv Nevo. L’interrogatorio è brutale, se Ziv fosse meno impaurito
si accorgerebbe di quanto il procedimento sia scorretto. Perché Ziv viene
forzato a dichiararsi colpevole- e qui c’è tutto un gioco di equivoci su cui
poggia l’originalità del romanzo, perché Ziv si trovava nei pressi della casa
di Adi Reghev per compiere un crimine che però era tutt’altro di quello di cui
è accusato. Non solo. Ziv preferisce l’accusa di stupro piuttosto che venga
fuori quello che stava facendo e chi c’è dietro di lui. Fosse così facile. E’
il gioco degli equivoci, l’ho già detto, e sarà così fino alla fine: il suo
mandante esige il silenzio da parte di Ziv, e Ziv tace. Come mai, però, Ziv
viene rilasciato? Sarebbe ovvio pensare che è stato rimesso in libertà perché
non ha violentato la ragazza, ma qualcun altro può anche pensare che la libertà
è un premio per aver ‘ cantato’. Incomincia così una caccia al povero Ziv,
mentre il violentatore stupra un’altra ragazza.
E’ questo che è insolito, nel romanzo di
Liad Shoham. Che il protagonista sia un presunto colpevole che è innocente di ciò
per cui viene accusato e che invece è colpevole di un altro crimine di cui è,
però, soltanto lo strumento. E che, accanto a lui- uomo stimato nell’esercito
durante il periodo di servizio militare, padre affettuoso, marito innamorato
finché non era stato indotto in tentazione- ci sia un altro personaggio
altrettanto importante, altrettanto forte e fragile, quasi un suo doppio, e
cioè il non più giovane commissario Eli Nachum che commette un errore,
lasciandosi influenzare dal padre della ragazza violentata. Due uomini che
sbagliano e che riconoscono di aver sbagliato e che fanno il possibile per
rimediare ai loro errori. E se la narrativa rallenta nella parte centrale del
libro, mentre si evidenziano le debolezze e le colpe della polizia e del sistema
giudiziario, accelera poi, ricca di sorprese e di colpi di scena nel finale.
Come si diceva, nei libri di
indagine poliziesca all’Agatha Christie? ‘L’assassino è il cameriere’- be’, qui
non ci sono camerieri, ma l’identità dello stupratore è ugualmente inaspettata.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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