lunedì 13 marzo 2017

David Peace, “Tokyo città occupata” ed. 2010

                                    Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
    la Storia nel romanzo
    noir
   il libro ritrovato


David Peace, “Tokyo città occupata”
Ed. il Saggiatore, trad. Marco Pensante, pagg. 359, Euro 17,00

Titolo originale: Occupied City

     Naturalmente sono rimasto allibito & gli ho chiesto dove si fossero svolti questi esperimenti. Lui ha risposto che gli esperimenti si erano svolti in un luogo di nome Pingfan, un sobborgo di Harbin, & e anche a Mukden. Mi ha anche detto che a molti prigionieri di guerra cinesi & anche americani era stata deliberatamente inoculata la peste bubbonica.



     Il 26 gennaio 1948, alle 15,20, un uomo entrò nella banca Teikoku di Tokyo. Si presentò come il dottor Yamaguchi, con tanto di biglietto da visita che specificava che era un funzionario del Ministero della Sanità. Chiese di parlare con il direttore. Questi era già andato a casa perché non si sentiva bene (dettaglio che si rivelò vantaggioso per il presunto dottore) e Yamaguchi fu introdotto nell’ufficio del vicedirettore. Disse che era scoppiata un’epidemia di dissenteria nell’area dove si trovava la banca e che lui aveva ricevuto l’ordine di immunizzare tutti gli impiegati e disinfettare qualsiasi oggetto potesse essere stato contaminato, perché si sapeva che un cliente era stato agli sportelli della banca poco prima di sentirsi male. Alle sedici persone radunate nell’atrio il dottor Yamaguchi somministrò un farmaco dosandolo con un contagocce nella tazza di tè di ognuno, mostrando anche come dovesse essere bevuto il liquido per una migliore assimilazione. La morte fu istantanea per undici persone, quattro sopravvissero. Il pittore Sadamichi Hirasawa fu accusato della strage, anche se nessuno dei sopravvissuti riconobbe in lui il dottor Yamaguchi: c’era bisogno di un capro espiatorio. Hirasawa fu condannato a morte per impiccagione, poi la condanna fu mutata in carcere a vita. Morì in prigione nel 1987. In Giappone è tuttora in atto la campagna per la sua riabilitazione.
Sadamichi Hirasawa
   Questi sono i fatti che forniscono la trama per “Tokyo città occupata”, secondo libro di una trilogia ambientata a Tokyo dello scrittore inglese David Peace che vive in Giappone dal 1994. Fatti che vengono detti e ripetuti in forme diverse, da diversi personaggi, con lo stile sincopato, martellante, ossessivo eppure anche, a tratti, stranamente poetico a cui David Peace ci ha abituato nei precedenti romanzi (la serie “Red Riding Quartet”, ambientata nello Yorkshire e “Tokyo anno zero”). Lo scrittore stesso riconosce il suo debito al film “Rashomon” di Kurosawa per il metodo da lui adottato in “Tokyo città occupata”. Nel film di Kurosawa, come nel romanzo di Akutagawa da cui il film è tratto, sette personaggi danno una versione diversa di uno stupro e di un assassinio.
“Tokyo città occupata” inizia con uno scrittore in fuga dal luogo del delitto, tenendo sottobraccio i fogli di un libro che non si lascia scrivere. Arriva alla Porta Nera di Tokyo e qui, in una stanza sotto il tetto, ci sono dodici candele accese e si svolgerà una sorta di seduta spiritica in cui ogni candela è una testimonianza che poi si spegne. Dodici voci diverse a parlarci dell’assassinio alla banca Teikoku,
a raccontare in maniera diversa- dapprima un coro di persone piangenti (ed è un lamento che echeggia quello delle donne nella cattedrale di Canterbury nel dramma di T.S.Eliot), il taccuino di un poliziotto (fatto di brusche e sintetiche annotazioni), una sopravvissuta che non dimenticherà mai il viso del dottore che ha somministrato il farmaco con tanto convincimento, il dottore americano Murray Thompson (il suo racconto è composto di rapporti ufficiali e tenere lettere alla moglie), un detective dell’occulto, un giornalista (che verrà messo a tacere), un uomo d’affari ex gangster, un russo, ovvero l’Homo Sovieticus (che ci ricorda la tortura dei ratti e le confessioni forzate del “1984” di Orwell), un secondo poliziotto. Le ultime due versioni sono quelle del presunto colpevole e del vero assassino che resta in incognito.
E tuttavia, racconto dopo racconto, sembra che l’attenzione del lettore venga focalizzata sul nesso tra la tecnica della strage con quelle impiegate dai giapponesi nella famigerata Fabbrica della Morte a  Pingfan, in Manciuria. Laggiù l’Unità 731 eseguiva ricerche per la guerra batteriologica: vivisezioni senza anestesia, topi infettati che diffondevano la peste, panini con il virus della peste distribuiti ai bambini per vedere gli effetti, esperimenti con bombe all’antrace…Sia gli americani sia i russi sapevano, eppure il responsabile dell’Unità 731, il generale Ishii, non fu mai condannato per crimini di guerra. Perché da Ishii vivo si potevano ottenere informazioni utili. E per questo il dottor Thompson, che confessava nelle lettere alla moglie il suo sdegno, era morto- omicidio? suicidio?
il generale Ishii


     A volte il ritmo dello stile di Peace- quando è molto ripetitivo e sconnesso- può essere stancante. Ma, per lo più, ha una forza ed una efficacia straordinaria. Che prende alla gola togliendo il respiro, incatenando alla lettura. Un romanzo fuori dall’ordinario e molto bello.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


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