Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
la Storia nel romanzo
intervista
il libro ritrovato
INTERVISTA A WILLIAM BOYD, “Ogni cuore umano”
Ed. Neri Pozza, trad. Vincenzo
Mingiardi, pagg. 605, Euro 17,50
Lo hanno chiamato “il secolo breve”,
il ‘900, eppure è stato un secolo lunghissimo per chi, come Logan Mountstuart,
il protagonista del romanzo dello scrittore inglese William Boyd, è nato nel
1906 ed è morto a ottantacinque anni. “Ogni cuore umano” è il diario di Logan,
iniziato a diciassette anni e portato avanti a volte in maniera discontinua, ma
sempre con il proposito di dire la verità. Anche riguardo alle menzogne: “la
nostra vita è l’insieme delle bugie che diciamo?”, si domanda il giovane Logan.
I diari sono raccolti in nove blocchi, nove scansioni temporali per un arco di
circa settant’anni: alcuni più lunghi, quelli degli anni londinesi o i diari
africani, alcuni brevi in uno stile spezzato a singhiozzi, dopo il ritorno
dalla prigionia in Svizzera per scoprire che l’amata Freya e la loro figlia
bambina sono morte sotto una bomba.
Logan non vuole raccontare la storia del
‘900, è la storia del ‘900 che entra nelle sue pagine mentre lui la vive senza
sapere che è
Il suo romanzo ha la forma di un diario in prima persona: è ovvio che
Logan Mountstuart non è Lei, ma quanto di Lei c’è in lui? E c’è qualcosa di uno
o di più scrittori realmente esistiti?
Non c’è molto di me, la
mia personalità è diversa dalla sua, però i luoghi in cui gli capita di andare
sono luoghi che conosco bene. Diciamo che la sua vita e la mia si
sovrappongono, ma è un personaggio inventato e non il mio ritratto.
E c’è tutta
una generazione di scrittori inglesi molto noti a cui il personaggio di Logan è
ispirato, Evelyn Waugh, Graham Greene, Lawrence Durrell, e altri meno noti,
come William Gerhardie che ha avuto uno strano destino: famosissimo negli anni
‘20, ha pubblicato l’ultimo romanzo nel
1940 ed è morto nel 1977. Immaginiamo che cosa abbia voluto dire, dopo la fama,
un silenzio di 37 anni e morire sconosciuto e povero. Un po’ come Logan.
Graham Greene |
Questa non è la prima volta che Lei inventa il personaggio di un
artista fittizio in maniera così perfetta che i lettori credono che sia
veramente esistito, vero?
No, infatti. Ho inventato
il pittore Nat Tate, che compare anche in questo romanzo, e ne ho scritto una
monografia. Era il 1998 e a New York si è creduto per giorni che avessi
scoperto un pittore sconosciuto. E nel 1984 avevo scritto “The New
Confessions”, la falsa autobiografia di un regista, un tal John James Todd.
Sono tre libri in cui ho cercato di fare una narrativa più realista di quanto
lo sia il solito romanzo e ho scelto la forma della non-fiction, la biografia,
l’autobiografia, il diario. Quest’ultimo è più vicino alla vita vera perché
sembra che tutto accada naturalmente e spontaneamente, c’è più immediatezza.
Perché era necessario che il suo personaggio nascesse in Uruguay e non
fosse del tutto inglese?
Perché volevo che fosse
un “outsider”, un estraneo, e in qualche maniera rappresentasse me: io sono
nato nell’Africa occidentale e mi sono sempre sentito distante dalla vita
britannica. La mia casa era in Africa e non in Gran Bretagna. Volevo che Logan
fosse nello stesso tempo molto inglese e avesse anche qualcosa di esotico e di
straniero.
Anche lo scrittore Gerhardie, di cui parlavo prima, era nato e
cresciuto in Russia, e quindi c’era una certa distanza tra lui e la società
britannica. C’è stata un combinazione della mia esperienza e di un modello
letterario. Per quello che mi riguarda, mi piace molto essere un “ousider”, mi
fa sentire sradicato e penso che questo sia un bene per uno scrittore.
Ad un certo punto Logan dice che il diario non deve essere un testo di
storia e tuttavia quello che abbiamo nel suo diario è la storia più vivida
dell’intero secolo: mi è parso il risultato più grande del suo libro.
Volevo che il romanzo
coprisse l’intero secolo, ma non i grandi avvenimenti; volevo che mostrasse
come ognuno di noi viene toccato dalla storia in modo banale, oppure eccitante
o tragico. Così Logan è stato toccato dalla guerra in modo scioccante, perché
la moglie e la figlia vengono uccise da una bomba, e, d’altra parte, c’è tutto
il periodo in cui la guerra lo sfiora soltanto, quando è alle Bahamas. Le
esperienze individuali della storia sono diverse da quelle considerate dal
punto di vista dello storico. Un po’ come quando Logan scrive che, se
l’invasione della Polonia avviene mentre stai facendo colazione, ne devi
scrivere solo se ti interrompe la colazione. Volevo catturare il senso dell’autenticità
della vera vita: così quando incontri Virginia Woolf nella realtà, non pensi,
“che grande scrittrice”, ma “che donna antipatica!”.
Mentre leggevo, mi sono anche resa conto che il secolo breve è stato
lunghissimo per alcuni, visto che la media della durata della vita si è così
allungata. Un secolo lunghissimo per adattarsi a tutti i suoi cambiamenti.
Sarebbe stato ancora più
difficile e straordinario per un personaggio che avesse vissuto tra il 1870 e
il 1950. Sarebbe cresciuto in piena epoca vittoriana e poi sarebbero seguiti
cambiamenti enormi. Nel 1906 c’era già all’incirca tutto quello che adesso
diamo per scontato, dagli aerei ai frigoriferi, al telefono. Immaginiamo invece
i fratelli Wright che sono nati negli anni ‘70 e uno di loro è morto dopo la
seconda guerra mondiale e ha visto dunque l’uso che è stato fatto dell’aereo-
per sganciare la bomba su Hiroshima. Il salto maggiore c’è stato tra
l’Inghilterra di Dickens e l’inizio del secolo. Sì, chi ha vissuto tutto il
secolo è passato attraverso tutte le guerre: mio padre era nato nel 1920, aveva
16 o 17 anni all’epoca della guerra civile spagnola, e poi ha fatto la seconda
guerra mondiale e la guerra in Nigeria. La guerra civile spagnola: era
impossibile creare il personaggio di uno scrittore che vivesse in quegli anni e
non andasse in Spagna. Tutti gli scrittori inglesi si sono ritrovati in Spagna,
per lo più schierati contro il fascismo. La guerra civile spagnola ha gettato
un’ombra sulla letteratura inglese più di qualunque altro conflitto.
Logan è un personaggio meravigliosamente complesso: da una parte è
l’antieroe che ha paura della morte e non teme piangere, l’opposto dei
personaggi di Hemingway.
Logan è un personaggio
molto umano. Non è uno scrittore “macho” nello stile di Hemingway che,
dopotutto, era un nevrotico ed è finito per diventare un caso molto triste.
Logan ha qualità e difetti, volevo che si comportasse a volte in maniera
vergognosa e a volte bene, come facciamo tutti. Hemingway recitava sempre la
stessa parte, creò questa “persona”, questa maschera per se stesso, e fu quella
che poi lo distrusse.
Logan è anche l’uomo senza qualità del secolo XX: vede la fine di
un’epoca e sembra che la storia gli passi accanto. E’ l’uomo comune che vive
nella storia e si accorge solo dopo che era la Storia.
Proprio così. E’ quello
che succede a tutti noi- l’11 settembre ha toccato in maniera
straordinariamente forte tutte le nostre vite, ma in genere le persone comuni
sono solo sfiorate dai grandi avvenimenti, quasi non sono consapevoli di quanto
stia accadendo. Io ero un ragazzo quando ero in Nigeria e c’era la guerra
civile. Ci furono più di un milione di morti, ma la mia esperienza non fu certo
l’esperienza storica della guerra. La ricordo come una serie di disagi, l’auto
che veniva fermata e controllata, i blocchi stradali, la mancanza di cibo. La
visione degli storici è completamente diversa. Sarebbe stato inautentico se
avessi scritto delle esperienze di Logan durante la seconda guerra mondiale
come storicamente significative.
E tuttavia è un personaggio molto simpatico, specialmente quando
invecchia. Ci piacciono le sue debolezze il suo idealismo, la sua fedeltà agli
amici.
Per far parlare Logan
anziano è intervenuta l’immaginazione dello scrittore: conosco molte persone
anziane, dovevo immaginare che cosa vuol dire, che cosa si prova, come si
pensa, quando si hanno 70, 80 anni. D’altra parte vedo su di me che,
invecchiando, se si è fortunati, si ha una sensazione più chiara e acuta di
quello che ha importanza nella vita, si sviluppa una filosofia della vita che permette
di affrontare la mortalità. Non puoi invecchiare senza farti delle domande,
senza chiederti che cosa ha valore nella vita. Logan è un personaggio
tempestoso, che ha avuto degli alti e bassi, ma ha raggiunto una certa saggezza
e serenità.
“I cosmopoliti” è il titolo di uno dei libri di Logan: è una specie di
autobiografia nascosta nel diario? Dopotutto, anche Logan è un cosmopolita.
Logan è un cosmopolita e
non è insulare o inglese nella maniera tipica. Mi piacciono i poeti francesi di
cui si parla nel libro di Logan, perché suggeriscono un tipo di vita molto
attraente: è importante per gli artisti essere consapevoli delle altre culture
e delle altre tendenze, essere dei cittadini del mondo. E Logan è culturalmente
“completo”, non è né insulare né reazionario.
recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista "Stilos"
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