vento del Nord
cento sfumature di giallo
FRESCO DI LETTURA
Arnaldur
Indriðason, “Un delitto da
dimenticare”
Ed.
Guanda, trad. A.Storti, pagg.314, Euro 15,30
Mi piace la pacatezza dello stile di Arnaldur Indriðason. E’ una lettura
molto islandese, molto rinfrescante nelle calde giornate estive. I romanzi di Arnaldur Indriðason hanno il grande
pregio di essere avvincenti senza aver
bisogno di ricorrere a brividi e colpi di scena. Non succede mai niente di
clamorosamente eclatante (per fortuna) in un paese che conta all’incirca 320.000
abitanti e l’abilità dello scrittore è proprio nell’intessere le sue storie su
quel poco che accade, facendoci entrare a far parte della vita di una
popolazione schiva, abituata alle durezze
di quella terra lavica, di quel clima ostile, di un’isola a ‘bassa vivibilità’, come viene definita
dagli americani che vi hanno
installato una loro base negli anni della guerra fredda e che sono tuttora
presenti in modo ingombrante, negli anni ‘70 in cui si svolge “Un delitto da
dimenticare”.
La trama segue due indagini di Erlendur, poco più che trentenne, con una bimba di
cinque anni di cui sente già la mancanza essendosi separato da poco dalla
moglie, e del suo capo e mentore, Marion Brem- un caso nuovo ed uno vecchio, un ‘cold case’ del 1953 (verrebbe
voglia di fare un gioco di parole su quanto possa essere freddo un cold case
islandese), un uomo il cui cadavere
viene trovato accidentalmente in un lago lavico nelle cui acque fangose si
immerge una donna afflitta da psoriasi ed una
ragazza scomparsa da casa una mattina mentre stava andando a scuola e mai
più ritrovata.
In apparenza i due delitti (c’è sempre un
margine di incertezza che si tratti veramente di omicidi, ma le probabilità che
lo siano sono alte) hanno cause molto diverse- quello recente potrebbe avere
grosse implicazioni politiche perché
Kristvin lavorava alla base americana come meccanico e sembra che, dopo aver
ricevuto un colpo alla nuca, sia stato gettato giù da una grande altezza: forse
da un’impalcatura dell’hangar 885 di
dimensioni così gigantesche da poter ospitare degli Hercules adatti anche al
trasporto di carri armati? Il delitto ormai ‘freddo’, invece, è uno dei tanti
casi che appassionano in maniera dolente Erlendur che non può dimenticare il
fratellino scomparso durante una tormenta quando erano entrambi bambini e di
cui non si era più ritrovata alcuna traccia. Le domande suscitate da quel
ricordo assilleranno Erlendur per tutta la vita- perché lui e non io? e
l’infinita serie dei, ‘e se…?’, nonché quella più angosciosa, che fine avrà mai
fatto?
L’assassinio di Kristvin dà modo ad Arnaldur Indriðason di addentrarsi
nella complessa problematica dei rapporti tra gli occupanti pseudo-amici
americani e gli islandesi, con l’atteggiamento di sprezzante superiorità degli americani che considerano gli
islandesi poco più degli untermenschen
di memoria nazista e quello servile
degli islandesi dibattuti tra la rabbia
dell’umiliazione e la tentazione di cedere ai vantaggi della situazione-
l’aver a portata dimano le merci di un mondo scintillante e favoloso,
blue-jenas e dischi di musica americana, sigarette e birra (proibita in
Islanda) e marijuana. E’ forse iniziato tutto da lì, dalla marijuana che
Kristvin comprava per alleviare i dolori della sorella ammalata di cancro? Oppure
aveva visto troppo?
Quanto alla ragazza scomparsa, come mai nessuno
aveva approfondito, a suo tempo, il fatto che forse aveva un ragazzo che
abitava a Kamp Knox, la baraccopoli
che era servita come base agli americani (ancora gli americani!) dove, nel 1953,
la gente più misera viveva in condizioni di squallore totale?
E’ in questo squarcio sul passato, la parte più interessante del romanzo,
piuttosto che nella soluzione dei due casi di indagine. Perché fa luce su una realtà sociale, economica e politica a
noi sconosciuta, in un paese ai margini del mondo- più in là ancora c’è solo la
mitica Thule il cui nome gli americani hanno dato alla loro base in Groenlandia
(altra loro base strategica). E poi piace il
contrasto tra la calda umanità dei due poliziotti islandesi e la cinica
freddezza americana (a vantaggio dei primi, naturalmente) e la solidarietà che si instaura con la
collega di colore, anche lei discriminata quanto gli abitanti dell’isola- se
loro sono dei ‘selvaggi’, lei è una ‘negra’.
Un appuntamento
estivo da non perdere.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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