cento sfumature di giallo
vento del Nord
il libro ritrovato
Un’
inchiesta del commissario Barbarotti
Håkan Nesser, “L’uomo con due vite”
Ed. Guanda, trad. Carmen Giorgetti Cima
L’uomo che
avrebbe voluto nascere gatto. Sì, ‘un bel gattone acciambellato al sole sul
pendio dietro una stalla.’ L’uomo che la moglie paragona ad un mobile, un
divano magari. Perché è insignificante, lo si dà per scontato. L’uomo che si
chiama Ante Valdemar Roos, sessant’anni, vedovo, con un figlio che non vede da
dieci anni, una seconda moglie e due figliastre. L’uomo che ha un ricordo netto
del padre morto suicida. Di una passeggiata nella foresta e di una frase che
esprimeva la bellezza di quel momento: “mai meglio di così”, aveva detto suo
padre.
Ecco, alla sua età, Ante Valdemar
Roos vuole provare ancora quella sensazione, di vivere al meglio, e non
condurre una vita grigia tra casa e lavoro. Ha un colpo di fortuna. Una vincita
al totocalcio, con una schedina che è rimasta la stessa per più di
cinquant’anni, la stessa che giocava suo padre. Si compra una casa in un luogo
sperduto, si licenzia, ogni giorno finge di andare a lavorare e invece passa le
ore in quella solitudine che gli fa pensare ‘mai meglio di così’.
Il nuovo
romanzo dello scrittore svedese Håkan Nesser, “L’uomo con due vite”, terzo
della serie con Gunnar Barbarotti, l’ispettore che patteggia con Dio, segue la
stessa tendenza dei due libri precedenti: è un’indagine poliziesca perché c’è
un morto, c’è la ricerca di una persona scomparsa, ma in realtà è un’indagine
su tutt’altro. Sul senso della vita e su come sia possibile cambiarne la rotta,
sulla solitudine paradossale di chi è circondato da persone, sulla comprensione
fulminante che il tempo che avanza da vivere è poco e non si può sprecare
passandolo con chi non ci interessa. Valdemar Roos si trova in questa
situazione e fa quello che ha fatto il fu Mattia Pascal. Prima si isola a poco
a poco, poi scompare. Anche perché la sua solitudine si incontra con quella di
Anna, in fuga da un centro di cura per tossicodipendenti e da un uomo violento-
l’aspirante gatto, il divano, entra in sintonia con la ragazza sensibile che
suona la chitarra e compone canzoni. Per la prima volta nella sua vita sente di
poter dare qualcosa a qualcuno e di
essere capito. Per Valdemar Nabokov è uno sciatore famoso, quando dovrebbe
inserire ‘Lolita’ in un cruciverba lui mette un’altra parola: non c’è mai il
minimo cenno che l’attrazione di Valdemar per Anna sia di natura sessuale,
piuttosto l’interesse di un padre per la figlia. Generoso eppure anche
leggermente morboso e possessivo, questo sì, e lo lasciamo scoprire al lettore.
La prima metà
del libro è interamente occupata dalla storia di Valdemar e di Anna e il nostro
Gunnar Barbarotti entra in scena solo nella seconda metà- ormai sposato con
Marianne e con una vita famigliare ‘ricca’ di cinque figli, tra i suoi e quelli
della moglie. Ha una gamba ingessata per una caduta, dialoga meno con Dio, è
meno spiritoso del solito, è affiancato da Eva Backman, l’ispettrice che, in
tono sommesso, pare ripetere il tema della solitudine in famiglia provato da
Valdemar. Lei è giovane, ha quattro figli, ma finirà per chiedere la
separazione: meglio ora che non accorgersi tardi di aver buttato via la propria
esistenza.
Per chi non ama
la violenza, per chi non si aspetta un thriller da brividi, per chi ama un
passo più lento di lettura, un bel romanzo.
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