Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
Ed.
Neri Pozza, trad. Massimo Ortelio, pagg. 417, Euro 19,00
Ogni volta che viene pubblicato un nuovo
romanzo di Tracy Chevalier, il suo è un atteso ritorno. Sono passati vent’anni
dal suo primo romanzo, “La ragazza con l’orecchino di perla” che l’ha resa
famosa. Dopo di quello sono venuti una serie di libri con una galleria di
personaggi femminili che ci hanno appassionato, così come ci ha appassionato il
tempo in cui hanno vissuto e il ruolo che queste donne, le sue protagoniste,
hanno avuto nella loro società, sia che ricamassero i cuscini destinati alle
panche di una chiesa, o cucissero le coperte che contenevano un messaggio per
gli schiavi fuggitivi, o cercassero fossili sulla spiaggia di Whitby. È come se
il suo intento fosse restituire dignità alle donne, sempre trascurate dalla
storia ufficiale, sempre relegate nell’ombra.
C’è un grande personaggio femminile anche ne “La maestra del vetro”, Orsola Rosso. All’inizio del libro è una bambina che cade in acqua- una caduta strategica, sapremo poi, perché viene mandata ad asciugarsi nella vicina fonderia dei Barattier, i migliori vetrai di Murano. Nessun estraneo può entrarvi, ma chi baderà a una bambina? E forse lei riuscirà a ‘spiare’ a che cosa stiano lavorando, a carpire qualche segreto. Perché i Rosso non sono niente accanto ai Barattier, la loro è una piccola fonderia a conduzione famigliare- il padre, la madre, due figli e Orsola.
Orsola, però, è fuori gioco, l’arte del vetro è cosa da uomini. Il destino, o le sue capacità, l’arte del vetro che ha nel sangue, mostreranno che non è vero. Verrà il tempo che sarà Orsola a salvare le finanze della famiglia dedicandosi- di nascosto dal fratello- a fare perle di vetro, come le ha suggerito e insegnato Maria Barattier che l’ha presa a ben volere.
A Murano, l’isola del vetro, dal 1486 ai giorni del Covid della nostra epoca, seguiamo le vicende della famiglia Rosso, gli amori, i matrimoni, la nascita dei bambini, le morti. Perché, secoli prima del Covid, la peste aveva falciato la vita degli abitanti di Venezia, arrivando anche a Murano, portandosi via più di uno dei Rosso. Dalla peste al Covid- questo è solo uno dei fili che collegano il tempo, perché l’uso del tempo è una delle caratteristiche del romanzo. La scrittrice ci suggerisce di immaginare un sasso lanciato per rimbalzare sull’acqua, ad ogni balzo c’è anche un balzo di secoli che però non corrisponde al modo di passare del tempo per i personaggi- cento anni di Storia, che possono includere la peste, ma anche Napoleone, gli austriaci, le nuove rotte commerciali che tagliano fuori Venezia, possono essere soltanto otto o dieci anni per la famiglia Rosso.
Il tempo a Venezia non esiste, Venezia è fuori del tempo nella sua immobilità azzurrina, eppure, anche se impieghiamo la nostra immaginazione e ci affidiamo alla maestria della scrittrice, è un poco straniante e non facile collocare i personaggi, che non cambiano molto nei secoli, in un mondo che passa dalle carrozze e le gondole alle automobili e ai vaporetti.
Cambia
anche l’arte del vetro, nei secoli, cambia il gusto, si affina la tecnica-
dalle vetrerie di Murano escono dei capolavori. E l’arte del vetro è protagonista
assoluta del romanzo. Ci interessa seguire l’evoluzione di Orsola che acquista
sicurezza e maestria nel foggiare le perle (di nascosto dapprima), ma quello
che ci incanta è la descrizione di come le collane, i lampadari, le coppe
vengano fatte, come nascano le idee- i ghepardi per la stravagante marchesa
Casati, la collana rosso rubino per Giuseppina Bonaparte, il lampadario con i
grappoli d’uva per Casanova- e come vengano realizzate. E il piccolo delfino di
vetro, che era stato pegno d’amore del bel veneziano di cui Orsola era
innamorata e che puntualmente le veniva recapitato dalla lontana Praga che
osava rivaleggiare con Venezia nell’arte del vetro, diventa il simbolo della
continuità della bellezza, dell’arte, dell’esistenza stessa di Venezia.
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