Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
romanzo-saggio
Barbara Demick, “I mangiatori di Buddha. Vita e ribellione in una città del Tibet”
Ed. Iperborea,
trad. Katia Bagnoli, pagg. 364, Euro 19,50
Tibet. “Il tetto del mondo”, così
chiamato per la sua altitudine media di 4900 metri sul livello del mare. Poco
più di tre milioni gli abitanti. Una guida spirituale, il Dalai Lama in esilio
in India dal 1959. Un vicino scomodo e, letteralmente, invadente- la Cina.
Viene spontaneo chiedersi come può, un gigante come la Cina, reputare
pericoloso un microbo come il Tibet, tanto da stroncarne non solo i desideri di
indipendenza, ma anche da cercare di sradicare la sua cultura e la sua lingua?
La scrittrice e giornalista americana Barbara Demick è riuscita a fare tre viaggi a Ngaba, la città che si trova dove l’altopiano tibetano si incontra con la Cina diventata nota dopo il numero di monaci che hanno scelto di darsi fuoco per protesta. Da questi viaggi, dai colloqui con gli abitanti sul posto e da quelli che ora vivono in città vicine o in Nepal, nasce il suo reportage che si legge come un romanzo corale. I personaggi che vi appaiono sono tutti veri anche se con altro nome su queste pagine. È un racconto appassionante della Storia del Tibet dal 1958 ai giorni nostri. In una canzone di Tashi Dhondup il 1958 si allinea con il 2008- il 1958 è ricordato come ‘l’anno più buio per il Tibet’, “l’anno in cui l’acerrimo nemico arrivò in Tibet”, e il 2008 come ‘l’anno in cui i tibetani innocenti sono stati torturati’. Nella memoria tibetana permane il terrore del 1958. Così come la parola Nakbà indica l’esodo palestinese del 1948, Shoah il genocidio ebraico, Holodomor il genocidio per fame perpetrato dal regime sovietico a danno della popolazione ucraina negli anni 1932-1933, il termine Ngabgay, cioè ‘58, allude ad una catastrofe così tremenda che solo una data può esprimerla. C’è anche un altro nome per indicarla e ci colpisce per la poesia contenuta nella parola: Dhulok, che significa “ quando il cielo e la terra si rovesciarono.”
Gonpo, figlia dell’ultimo re Mei, è la
prima ad apparire in queste pagine- di lei e della sua vita sapremo fino ai
tempi recenti in cui, dopo essere andata in India per apprendere la sua lingua
che aveva dimenticato, si ritrovò in pratica esiliata lì, a Dharamsala dove ha
sede il governo tibetano in esilio e dove ha la sua residenza il Dalai Lama.
Aveva sette anni, Gonpo, nel 1958. Non aveva capito il perché della fuga né che
cosa stesse succedendo. Dieci anni dopo sarebbe stata mandata nello Xinjiang,
l’equivalente della Siberia, ai lavori forzati.
Delek, figlio del generale che cercò di
fermare l’Armata Rossa. Quando i soldati dell’Armata Rossa arrivarono a Ngaba
erano un esercito di affamati. Per caso si accorsero che le statuine del Buddha
erano fatte di farina ed erano dolci e potevano essere mangiate- una
profanazione.
Tsegyam, l’aspirante poeta, un intellettuale che nel 1989, dopo i fatti di piazza Tienanmen, sarà arrestato per propaganda antirivoluzionaria.
Seguiamo le vicende di questi personaggi e di altri ancora nel corso degli anni fino al fatale 16 marzo 2011 quando il monaco Phuntsog, di soli sedici anni, si diede fuoco, immolandosi per protesta contro il governo cinese in Tibet. Fu il primo di una serie, un anno dopo erano trenta i Tibetani che avevano commesso un atto di violenza contro se stessi, scegliendo la morte tra le fiamme.
Nel 2019 erano 156- quasi un’affermazione di obbedienza al costante invito a non usare la violenza contro gli invasori da parte del Dalai Lama che aveva ricevuto il premio Nobel per la pace nel 1989. Nel suo esilio a Dharamsala il Dalai Lama, ormai guida spirituale del suo paese, dichiarava che considerava sua responsabilità preservare la loro cultura, la cultura della pace e della compassione.
In parte saggio, in parte ricerca sul
campo, in parte romanzo perché “I mangiatori di Buddha” si legge come un
romanzo, tanto più affascinante perché sappiamo che sono veri i personaggi che
vivono nelle sue pagine, il libro di Barbara Demick ci spalanca le porte sul
tetto del mondo.
Nessun commento:
Posta un commento