Voci da mondi diversi. Israele
Ed.
Neri Pozza, trad. Raffaella Scardi, pagg. 234, Euro 18,00
Dodici anni senza pioggia. Ha tutto di
tutta una maledizione biblica, un fatto del genere. Tanto più che non piove da
dodici anni su quell’insediamento di cui vengono ancora ricordati con rispetto
i nomi dei padri fondatori, e però piove quando deve piovere, nelle stagioni
giuste, oltre i suoi confini, nei campi vicini.
L’ultima
pioggia era scesa leggera la mattina quando c’era stato un funerale senza una
bara, solo con una salma coperta da un sudario, quasi che si dovesse sbrigare
la faccenda di nascosto, in segreto.
È questo l’inizio del romanzo di Salet
Shahaf Poleg che ha passato la sua infanzia a Be’er Sheva e l’adolescenza in un
moshav nella Valle di Jezreel, nel nord di Israele. Inizia con una siccità che
è metafora di aridità d’animo, con un morto che si aggirerà nelle pagine del
libro come un fantasma, proprio come quando era vivo, disseminando dietro di sé
origami di carta, stormi di gru che danzavano sull’erba.
La famiglia Shteinman è al centro del romanzo, ma non solo. Leggiamo la storia della famiglia seguendo i punti di vista dell’uno e dell’altro, quello che è successo in passato e quello che sta succedendo adesso, accenni oscuri a maledizioni, a segreti, a timori che qualcosa di infausto possa ripetersi, ma leggiamo anche di altri segreti, di un altro genere, più loschi, che riguardano l’insediamento, che possono aver attirato la punizione divina..
Il nonno e la nonna, i vecchi, litigiosi
come tutte le vecchie coppie, ognuno di loro con le sue manie- gli acquisti
compulsivi su internet di lei, la collezione di armi bianche di lui. La sorella
della nonna, Zipa, che ha lasciato alla nipote Yael la sua casa. Le tre figlie
del nonno e della nonna- due sono morte, ormai, ed una, la madre di Yael e
Gali, è a Londra per un anno sabbatico. La generazione più giovane, infine,
Yael e Gali, che tornano a vivere nel villaggio dopo anni- Yael perché vuole
ristrutturare la casa ereditata dalla prozia e farne un bed and breakfast, Gali
perché intende sposarsi proprio lì, dopo anni passati in Canada, vuole
un’atmosfera campagnola per le sue nozze.
La narrazione passa da un personaggio
all’altro e a volte può non essere facile riprendere il filo delle storie.
L’attenzione è soprattutto su Yael e Gali, sulle loro tormentate storie
d’amore, sulla diffidenza che i nonni avevano provato verso gli uomini che loro
avevano scelto. E ora Yael è incinta. Ma ci sono troppe cose non dette, troppi
segreti nascosti dai nonni, dalle loro figlie, dalla prozia Zipa.
Forse sarebbe bene che almeno Yael sapesse, per il bene del bambino che aspetta. Che sapesse perché la maledizione non grava solamente sull’insediamento arido ma anche su quella casa che ha ereditato e che il nonno vorrebbe far demolire.
E poi c’è l’acqua, da sempre fonte di vita.
C’è tutta una storia di sorgenti, di acquedotti, di truffe, che culmina in una
scena che ha qualcosa di ilare e insieme
di catartico, quando un enorme getto di acqua zampilla dal terreno proprio dove
ci si sta preparando al matrimonio di Gali (e qui c’è tutta un’altra storia dietro).
Un finale dolce amaro, con il ritorno della
pioggia, per un romanzo che guarda con realismo, tristezza e delusione, i
fallimenti del sogno sionista, che vuole credere nella vita e nella forza
dell’amore, ma con il cuore pesante, con timore per l’avvenire.
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