Casa Nostra. Qui Italia
Paco Jasa, “Di mani festarsi”
Ed.
Delfino, pagg. 136, Euro 18,00
Un breve romanzo a quattro mani, opera di
Sabrina Corsini e Jacopo Panizza che hanno unito i loro nomi nella firma, un
gioco di parole che riecheggia quella del titolo stesso, una sorta di rebus che
contiene un significato simbolico. Un romanzo insolito, tessuto (è proprio il
caso di dirlo) con una storia che ha origine da un tappeto. Siamo soliti
calpestare un tappeto, più raramente lo appendiamo ad un muro. Per noi, pur
ammirandone la bellezza e apprezzandone il valore, resta pur sempre un tappeto. E invece un tappeto ha una
voce, se si è capaci di ascoltarla. Può avere anche più di una voce, ci
racconta una storia che resterà per sempre segreta, nascosta nei suoi disegni e
nei suoi colori se qualcuno non ci aiuta ad interpretarla.
Nule è un borgo di origine antica in provincia di Sassari,
famoso per l’arte della tessitura. Le donne di Nule usano il telaio verticale su cui possono lavorare più di una alla volta- ci sono regole da osservare, nella tessitura, ci sono disegni ricorrenti, c’è un significato perfino nell’uso della lana delle pecore, quasi a stringere un patto di alleanza con la loro terra, rinforzato dai colori, derivati anche quelli dalla natura, il giallo dallo zafferano, il rosso dalla radice di truiscu, quel cespuglio sempreverde così comune in Sardegna.
Due sorelle lavorano al telaio, nella prima parte del libro. Sisinna ed Elena. La prima di qualche anno più grande della seconda che, quando erano bambine, era la vittima degli scherzi spietati di Sisinna e del fratello. Ne risente ancora adesso, Elena. È per via di quelle filastrocche maligne che la svilivano, che Elena ha uno spirito di ribellione? Si è forgiato su quelle, il suo carattere? Quanto Elena è originale e irrispettosa delle regole, tanto Sisinna è ordinata e metodica. E il tappeto viene fuori asimmetrico, sul lato sinistro si riconosce la mano e l’inventività di Elena, su quello destro quella regolare di Sisinna. Eppure c’è armonia ugualmente, c’è la magia e il controllo di questa, c’è la tradizione e una diversa interpretazione della tradizione, c’è razionalità e un pizzico di fantasiosa follia.
Tra la prima e la seconda parte del libro
sembra esserci un brusco stacco, finché- ancora- intrecciamo le fila,
intessiamo la trama con l’ordito. Dalla Sardegna ci spostiamo in Africa, dove
il tessuto Bogolan, che subisce un processo di tintura col fango, rappresenta la
storia e la cultura stessa del Mali, ma anche della Guinea e del Burqina Faso. Altri
popoli, altri tappeti, sempre un significato nascosto, calpestato dai piedi. Un
uomo, che più tardi conosceremo con il nome di Bitu, decide di emigrare
affrontando tutti i pericoli del viaggio e il trauma dello sradicamento.
Arriverà in Sardegna, troverà riparo in un capanno avvoltolandosi in un vecchio
tappeto sporco il cui messaggio, però, lui riesce ad interpretare. È il tappeto
delle due sorelle.tappeto Bogolan
Passano gli anni, Bitu è rimasto in
Sardegna, il significato del libro si amplia, il messaggio dell’arte del
tappeto attraversa il Mediterraneo, invita all’inclusione, alla tolleranza.
Come già annunciava il titolo, “Di mani
festarsi” è un breve romanzo singolare che unisce una storia di famiglia con folklore
popolare, piccoli litigi e riconciliazioni, filastrocche infantili e il canto
del telaio. Un esordio molto interessante.
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