Casa Nostra. Qui Italia
romanzo di viaggio
Valentina Parisi, “Una mappa per Kaliningrad”
Ed.
Exorma, pagg. 250, Euro 15,90
Pochi sanno che cosa sia Stablack ed è doloroso che un luogo che ha significato così tanto per chi vi è stato internato, che ha marchiato per sempre le loro vite, sia finito nell’oblio. Il nonno della scrittrice fu tra i prigionieri politici italiani recluso nello Stalag 1 di Stablak, nelle vicinanze di Kaliningrad. E la scrittrice segue le orme quasi del tutto cancellate del nonno per ritrovare la sua drammatica esperienza. Il nonno, peraltro, non ne aveva mai parlato, come erano restii a parlare della prigionia tutti quelli che l’avevano sperimentata ed erano sopravvissuti. Una foto che troviamo nel libro “Una mappa per Kaliningrad” ritrae il nonno nel 1947, magro, che guarda la bambina che è la madre della scrittrice. Ha il volto girato verso di lei, indoviniamo uno sguardo di meraviglia e di ammirazione, come davanti a qualcosa di inaspettato e di straordinario.
Città singolare Kaliningrad. Città con due anime, una tedesca e una russa. Città con due nomi, anche se ormai dovrebbe averne uno solo, essendo una exclave russa, altra condizione singolare (una exclave è un territorio che appartiene politicamente ad uno stato pur essendo inserito territorialmente in un altro stato). Si chiamava Königsberg (la montagna del re) quando apparteneva alla Prussia, ed è rimasta tale per i tedeschi. Perché ha dato i natali al filosofo Kant, al poeta Hoffmann, alla pittrice e scultrice Kollwitz, perché Hannah Harendt vi ha passato gli anni dell’infanzia. Come si può cancellare tutto questo? Per i russi la città aveva una posizione strategica importante, era l’affaccio su un mare che non ghiacciava. E per giustificare l’annessione di gran parte della Prussia orientale venne creato a proposito il mito della regione di Kaliningrad come territorio popolato fin dall’antichità da tribù slave ricongiuntosi alla madrepatria grazie alla vittoria militare sovietica del 1945 (non è forse lo stesso discorso che abbiamo sentito di recente in questi giorni di guerra in Ucraina?).
Kaliningrad non sarebbe neppure nata come
tale se Königsberg non fosse stata bombardata pesantemente dagli Alleati nel
1944. E ai sovietici non importava affatto di ricostruire la città uguale a
come era prima, per cui è difficile ritrovare il passato nella nuova città.
La scrittrice ci racconta le sue avventure di viaggio, non certamente facile anche se non paragonabile a quello che deve avere fatto suo nonno. Racconta di incontri, descrive luoghi e persone, inserisce un capitolo intero di testimonianze, aggiunge fotografie di ‘prima’ e ‘dopo’ e ‘durante’, durante la guerra, con le distruzioni e le macerie. Lascia per ultimo il campo. Difficile da raggiungere, perfino le indicazioni che riceve non sono uguali. Quando scende dall’autobus deve percorrere un lungo tratto a piedi- sembra quasi che quello che deve svelarsi ai suoi occhi debba essere una sorta di premio ottenuto dopo aver vinto la sfida di mostri di antiche fiabe. Invece, in realtà, quasi nulla è rimasto di quell’enorme campo con le lunghe baracche. Si commuove davanti al memoriale per le vittime italiane. Poi è ora di tornare indietro, per non perdere l’autobus di ritorno. Come se in questa urgenza ci fosse anche un significato recondito sulla necessità di ricordare ma anche su quella di non lasciarsi irretire dalle maglie del passato.
‘La città bifronte’, dice il sottotitolo di
questo libro che ci conduce in un viaggio affascinante in questa doppia città
di cui ci chiediamo- quale delle due è il doppelgänger dell’altra? In realtà,
abbiamo in mente la risposta, ma preferiamo pensare a Kaliningrad come ad un
pezzo di ambra- come scrive l’autrice-, uno di quei luminosi pezzi di ambra che
il mare lascia sulla riva, che serba in sé il residuo fossile del passato, una
Kaliningrad che tesorizza in sé Königsberg.
E
a proposito di ambra- ho sentito parlare di Kaliningrad per la prima volta come
al luogo dove bravissimi artigiani creavano gioielli di ambra. E dove, ma
allora si chiamava ancora Königsberg, i nazisti avevano fatto portare i
pannelli della splendida camera d’ambra trafugati dal palazzo di Caterina a
Carskoe Selo.
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