Casa Nostra. Qui Italia
biografia romanzata
Giuseppina Manin, “Complice la notte”
Ed. Guanda, pagg. 240, Euro 17,10
Nella notte tra il 28 febbraio e il primo
marzo 1953, nella dacia di Kuncevo, moriva il Piccolo padre, Iosif Vissarionovič
Džugašvili, meglio conosciuto come Stalin. La sua morte è entrata nella
leggenda, fuori fiocca la neve, nel tepore della dacia l’uomo di acciaio giace
sul divano, il grammofono (regalo di Churchill) si è fermato, sul piatto il
disco da 78 giri con il Concerto per pianoforte
e orchestra K488 di Mozart, al piano Marija Judina.
Il romanzo di Giuseppina Manin, “Complice la notte”, si apre con questa scena per poi ricordare come e quando quel disco era stato inciso- Stalin che ascoltava il concerto alla radio, la sua richiesta di averne la registrazione, il panico che si era diffuso perché non c’era nessuna registrazione, ma si poteva dirglielo? Bisognava suonare nuovamente il pezzo, svegliare Marija e richiamarla, un direttore dopo l’altro si era sottratto all’impegno, e poi quella splendida esecuzione, diversa da quella originale, con un Adagio che suona come un atto di accusa, un memento della folla di uomini deportati nelle isole Solovki per ordine di Stalin, affamati, torturati, trucidati.
Stalin manderà un biglietto di ringraziamento a Marija, insieme a ventimila rubli. Che Marija- somma ironia- regalerà alla Chiesa rispondendo che ringraziava e avrebbe pregato il Signore di perdonare i grandi peccati che Stalin aveva compiuto nei confronti del popolo e del Paese. Che donna. Che ardire. Una leggenda. Eppure Stalin non la toccherà. Perché riconosce in lei una jurodivaja, l’innocente, lo stolto di Cristo, come l’idiota di Dostojevskij. Gli jurodivyi sono intoccabili, incarnano la libertà interiore, la coscienza del popolo, sono gli idioti sapienti che denunciano le malefatte del tiranno. Chi li tocca non sarà mai perdonato, lo sa bene l’ex seminarista Stalin.
Marija Judina, con questo cognome che
rivela la sua ascendenza ebraica, era nata nel 1899 a Nevel, una cittadina
della Russia occidentale. Lei si era convertita al cristianesimo e portava
sempre una croce al collo sui lunghi abiti neri di foggia monacale. Il libro,
un’accurata ricostruzione storica, narra la sua vita, dagli studi al
Conservatorio di san Pietroburgo (città che sarebbe diventata Leningrado, così
amata da Marija che vi tornò durante l’assedio, superando l’accerchiamento),
agli amici, musicisti come Shostakovich e Sofronickij e altri ancora, letterati
come la poetessa Achmatova e più tardi Pasternak che proprio nell’appartamento
di Marija avrebbe letto, nel 1947, la prima stesura del suo romanzo, al suo
grande amore, il giovane Kirill che sarebbe morto durante una scalata in cui Marija,
ricoverata in ospedale, non aveva potuto accompagnarlo. Marija, dopo un paio di
brevi storie giovanili, aveva conosciuto il grande amore con Kirill e terminò
con lui la sua vita sentimentale. Non era propriamente bella, Marija, ma aveva
un fascino intenso, e poi, quando suonava, calamitava gli sguardi sulle sue
mani che volavano sul pianoforte e stregava i suoi ascoltatori. Era generosa
nello spirito del vero cristianesimo, i regali che riceveva, fossero soldi,
cibo, capi di vestiario, li dava a chi riteneva avesse più bisogno di lei, e,
se qualcuno che conosceva era stato arrestato, Marija non temeva di esporsi
inoltrando richiesta di clemenza.
Sono anni terribili, quelli in cui vive Marija. Dapprima l’entusiasmo per la Rivoluzione (ma lei non poteva non provare orrore per l’eccidio della famiglia Romanov), poi la delusione quando il governo del popolo si era trasformato nel governo di uno solo, le delazioni, gli arresti, la paura, la fame, la guerra, le deportazioni nell’Inferno bianco della Siberia. Per Marija la musica allevia ogni pena, regna sovrana. Mozart, Bach, Beethoven, ma anche Shostakovic, Nono, tutti quei compositori ‘nuovi’ invisi al regime. Come possa la musica essere considerata pericolosa e sovversiva, non si sa. Eppure Marija fu penalizzata per questo. Lei continuava a suonare, a salire sul palco con le scarpe da ginnastica e l’abito da monaca, il crocefisso al collo. Perché suonare significava parlare con Dio.
Un romanzo suggestivo, risuonante di musica
in ogni pagina, evocativo di un ricco ambiente culturale, di un tempo buio
della Storia di Russia ed anche di uno splendido paesaggio innevato, di icone
dorate, di cupole scintillanti che si riflettono nella Neva.
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