Voci da mondi diversi. Giappone
Banana Yoshimoto, “Il dolce domani”
Ed.
Feltrinelli, trad. Gala Maria Follaco, pagg. 112, Euro 11,40
Il Giappone era passato da poco attraverso
la terribile esperienza del terremoto e dello tsunami di Fukushima nel 2011
quando Banana Yoshimoto iniziò a scrivere questo breve romanzo, un tentativo di
riconciliarsi con la morte, di portare conforto a quanti avevano perduto una
persona cara.
Sayoko e Yoichi hanno avuto un incidente, un’auto guidata da un ubriaco aveva invaso la loro corsia. Lui era morto sul colpo, lei era sopravvissuta. Sayoko è certa di essere sopravvissuta per aver pregato, per aver sperato con tutta se stessa che Yoichi vivesse. Lei sentiva di stare morendo, con quella sbarra di ferro conficcata nella pancia. La sbarra sarebbe dovuta servire a Yoichi per una delle sue composizioni- era un artista rinomato-, lei glielo aveva detto che era pericoloso trasportarla in auto. E invece no, era stata lei a sopravvivere, dopo una lunghissima convalescenza, con cicatrici sul corpo che la facevano sembrare Frankestein e con ben peggiori cicatrici nell’anima. Anzi. Come le diceva l’amico barista (era un poco innamorato di lei? ne leggeremo la storia), Sayoko aveva perso il mabui, proprio l’anima, e non poteva star bene finché non l’avesse ritrovata e raccolta.
È un lento recupero, quello di Sayoko. Lei
e Yoichi non erano sposati, lei viveva a Tokyo e lui a Kyoto dove aveva uno
studio, ma il loro era un legame profondo- per un po’ Sayoko aveva sperato di
essere rimasta incinta, per avere una parte di lui con sé. Frequentare la
famiglia di Yoichi è di immenso aiuto sia a lei sia ai genitori di lui- forse
si sarebbero separati sotto l’urto del dolore, se non fosse stato per lei che
si sarebbe anche occupata di gestire le opere d’arte di lui, sparse in tutto il
mondo oltre che in Giappone.
E poi ci sono i fantasmi. Niente a che vedere con i fantasmi delle fantasie popolari. Sayo inizia a vedere figure di persone che sembrano reali, forse un poco evanescenti e con un’aria di mistero che le circonda, e invece sono figure che solo lei (e qualcun altro che era in stretto legame con loro) vede. Perché in questo periodo di passaggio, quando lei stessa si è affacciata al mondo dell’aldilà, quando l’ombra di Yoichi aleggia ancora intorno a lei e lei non si rassegna a lasciarlo andare, è come se Sayo si aggirasse in un interregno- è così labile il confine tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, è un così grande conforto per chi resta poter vedere ancora chi se ne è andato, come il cane a cui era affezionata, il nonno, Yoichi, la madre del giovane gay con cui Sayo fa amicizia, la sorella del barista. Perché Sayo non è l’unica a trarre conforto da questi spettri che indugiano prima di accomiatarsi, come volessero sincerarsi che la persona che hanno lasciato abbia recuperato il suo mabui.
Con delicatezza e un filo di poesia, con
un pudore che impedisce una manifestazione chiassosa del dolore, una storia che
forse può aiutarci ad affrontare la morte. Degli altri e di noi stessi.
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