Voci da mondi diversi. Israele
seconda guerra mondiale
Emuna Elon, “La casa sull’acqua”
Ed.
Guanda, trad. Elena Loewenthal, pagg. 352, Euro 18,00
Eppure Yoel Blum, affermato scrittore, si era trovato a dover rompere la promessa, a malincuore. Aveva già rifiutato due volte di andare ad Amsterdam, per la presentazione di due suoi precedenti romanzi, e questa volta non si era potuto sottrarre. Sessanta anni prima sua madre era riuscita a fuggire da là, con sua sorella Nettie e lui. Suo padre era morto ad Auschwitz. Al termine dell’evento qualcuno gli aveva chiesto, conoscendo la risposta, se lui non era forse nato ad Amsterdam e Yoel aveva svicolato, rispondendo che sì, ma era molto piccolo quando era arrivato in Israele e si considerava israeliano. E poi, visitando il Museo ebraico con la moglie, aveva visto scorrere le immagini di un filmato- era sua mamma quella che appariva sullo schermo, senza possibilità di dubbio. Più giovane, ma certamente era lei. Al suo fianco suo padre, con gli occhiali, e sua sorella. Sua mamma aveva un bambino piccolo in braccio e anche di questo era certo: quel bambino non era lui, non poteva essere lui. E quel viaggio, che doveva essere di un paio di giorni, diventerà un lungo soggiorno nella città costruita sulle acque alla ricerca della storia della sua vita.
Le due narrative tra presente e passato,
che scorrono parallele all’inizio, si alternano fra lo sconcerto e l’ansia di
quello che Yoel può scoprire, flash di lui stesso bambino e il legame
strettissimo con la mamma (lo aveva dovuto imboccare fino a che frequentava le
elementari, altrimenti lui si sarebbe lasciato morire di fame) e un tentativo
dapprima timido di ricostruzione di una storia molto più vecchia, di una coppia
giovane e innamorata che mai e poi mai avrebbe creduto possibile che in Olanda
sarebbero successe le cose di cui arrivavano notizie dalla Germania.
Sua madre è morta, soltanto la sorella, più grande di lui, può dirgli di più, può confermargli la verità sconvolgente che Yoel ha appena scoperto. Domande non espresse si affastellano nella sua mente- chi è lui? perché? come?
Yoel cambia albergo, si trasferisce in un
altro meno bello ma in quella strada
lui riesce a vedere immagini del passato, riesce a viverlo. E lo stacco tra l’alternanza delle narrative si fa sempre
meno netto, si passa dall’una all’altra, a tratti si ha l’impressione di
leggere un flusso di coscienza, sempre è come se la storia di Sonia, del marito
medico, di Nettie e del piccolo e biondo Leo, fosse vera e non ricreata
dall’immaginazione dello scrittore- dove finisce Yoel scrittore e inizia Yoel
persona, il bambino scambiato?
Emuna Elon è superlativa nel costruire la duplice
atmosfera, quella in Amsterdam occupata dai nazisti, sempre più preclusa agli
ebrei, una città in cui serpeggia la paura, ognuno pensa a se stesso e gli
amici di un tempo sono diventati nemici, e quella in cui si aggira Yoel che si
compra un giubbotto di pelle e un berretto per non essere riconosciuto e però
lui stesso non si riconosce più in questa ricerca della sua identità. La
copertina dell’edizione inglese, con le case che si rispecchiano nei canali,
sembra alludere ad una realtà capovolta, che poi è quella di Yoel stesso.Sinagoga portoghese di Amsterdam
Quando si pensa che non si possa
aggiungere nulla a quello che già sappiamo della grande tragedia che ha segnato
il secolo passato, ecco un libro che non dice nulla di nuovo, forse neppure la
storia è nuova (sapevamo però del numero dei bambini ebrei che non furono
restituiti dalle famiglie che li avevano nascosti?), però il modo in cui ci
viene raccontata, quell’esplorazione delicata del tormento di chi l’ha vissuta
e di chi l’ha subita, delle conseguenze psicologiche incancellabili per gli uni
e per gli altri- la solitudine della madre, l’incapacità di relazionarsi
emotivamente del figlio-, rende questo libro unico, da leggere. Perché i
nazisti non hanno ucciso solo Anna Frank.
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