Voci da mondi diversi. Africa
il libro dimenticato
Ayesha Harruna Attah, “I cento pozzi di Salaga”
Ed.
Marcos y Marcos, trad. Monica Pareschi, pagg. 300, Euro 18,00
Due protagoniste, due donne che sono una il
doppio dell’altra, opposte e complementari. Due narrative che ad un certo punto
si fondono, pur mantenendo il duplice punto di vista
Aminah,
che vive in un villaggio sulle piste carovaniere, una madre che adora, un
fratellino e due sorelline più piccoli, un padre che fa il calzolaio ed è
spesso in viaggio per vendere le scarpe che lui stesso ha cucito. Ad Aminah
piacerebbe fare scarpe, come lui, e ne sarebbe capace.
Wurche, una principessa, figlia del re, uno spirito guerriero che non vuole essere da meno dei suoi fratelli, che sa cavalcare e maneggiare le armi. Il suo primo desiderio è di governare a fianco del padre, l’ultimo è quello di sposarsi.
In una razzia i mercanti di schiavi danno
alle fiamme il villaggio di Aminah, lei è presa prigioniera insieme al
fratellino e alle due sorelle gemelle, Hassana e Husseina, sua madre muore. La
schiavitù è stata abolita, eppure il commercio prospera ancora, le sofferenze
di Aminah, trascinata a piedi fino alla città, sono inenarrabili. In più, lungo
il percorso perde due membri di quello che resta della sua famiglia- il
fratellino non regge al trauma e alla fatica e una delle gemelle è venduta ad
un altro mercante. L’urlo di Hassana quando vede scomparire Husseina risuona
straziante nella foresta.
A Wurche viene imposto il matrimonio con un uomo per cui lei prova subito avversione. Deve sottostare- con questo legame il re suo padre si assicura un’alleanza contro la tribù degli ashanti e cerca pure di avvicinarsi agli europei, tedeschi e inglesi, le cui mire non sono chiare.
Seguire le vicende dell’una e dell’altra è
quanto mai intrigante. Perché tutto, del romanzo, ci è nuovo e ci offre spunti
di riflessione. L’ambientazione nei villaggi delle diverse tribù, la
descrizione di Salaga e del mercato degli schiavi, la natura selvaggia
dell’Africa, la Storia in anni che vedono la fine ‘ufficiale’ di un commercio
indegno che tuttavia ancora continua di nascosto, e, nello stesso tempo,
prospettano la nuova ingerenza coloniale degli europei, le diverse religioni
praticate (i gonja, la tribù di Wurche, sono musulmani mentre Aminah crede in
un’altra divinità onnipotente), la cultura e la cucina che fa parte di questa,
i rapporti tra uomo e donna e all’interno della famiglia (è interessante sapere
che una donna sposata può continuare a vivere nel villaggio della sua famiglia
finché il suo primo bambino cammina da solo)- tutto questo ci incuriosisce e ci
affascina.
Aminah è una schiava. Wurche la compera- e poi si disprezzerà per averlo fatto- perché capisce che Aminah è destinata all’uomo molto bello di cui lei è innamorata. Eppure, queste due donne così diverse lottano entrambe per ottenere la libertà. Una libertà più ovvia, quella di Aminah che non si lamenta di come viene trattata da Wurche che le ha affidato il bambino avuto dal marito (si riesce ad amare un bambino avuto da un uomo per cui si ha revulsione?) e un altro tipo di libertà quello a cui aspira Wurche, una sorta di femminista antelitteram, attratta da entrambi i sessi, interessata alla politica e desiderosa di potere.
Una galleria di personaggi maschili ruota
intorno a queste due donne, quasi a metterle in risalto- il re che sembra amare
di più questa figlia mascolina e battagliera e che però si uccide alla morte
del figlio maschio, il marito di cui si sottolinea il ventre molle in contrasto
con il fisico asciutto di Wurche, come se il carattere di ognuno fosse
interpretato dai loro corpi, il mercante di schiavi (il nero principe azzurro
di cui sia Aminah sia Wurche sono innamorate che abbandonerà il suo commercio
per amore), il tedesco da cui Wurche spera di avere informazioni politiche e
che la lascerà con una bambina dagli occhi chiari, e altri uomini ugualmente
ignobili.
Il seguito del romanzo è “Il grande
azzurro”- da leggere entrambi.
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